8 aprile 2017 – Gestiranno gran parte dei casi meno urgenti senza intervento del medico, inviandoli dallo specialista. Le ostetriche avranno la responsabilità dei parti a basso rischio. L’obiettivo è snellire i tempi d’attesa.
VENEZIA. Mentre l’Authority di Raffaele Cantone denuncia le «scorribande di delinquenti» nella sanità e la vessazione di tanti pazienti costretti a versare tangenti per sottrarsi ad attesa infinite e ottenere le sospirate cure, il Veneto prova a compiere un passo concreto verso lo snellimento dei tempi nei Pronto soccorso e scommette sugli infermieri, una categoria professionale spesso sottostimata ma destinata ad assolvere un ruolo cruciale nei nuovi assetti ospedalieri.
Nel concreto, il nuovo documento di indirizzo per le unità operative di Pronto soccorso approvato dalla Giunta Zaia prevede che il “personale infermieristico avanzato” (dotato cioè di laurea triennale e successiva formazione) provveda a gran parte dei codici bianchi, ovvero ai pazienti di minima urgenza; una casistica di disagi in apparenza minori – corpi estranei conficcati nella cute, eritemi, cefalee e mal di denti, punture d’insetti, “pianto inconsolabile” dei bimbi – che tuttavia determinano la gran parte degli accessi quotidiani, ingolfando le emergency e allungando a dismisura i tempi d’attesa. Non è tutto. Il personale infermieristico, ritenute sufficienti le informazioni raccolte, potrà inviare direttamente il paziente dallo specialista per la visita o l’accertamento diagnostico, eliminando così il “passaggio formale” del medico, autorizzato a delegare loro ulteriori compiti, quali la rimozione delle suture. Non solo i Pronto soccorso: rilevante, nei punti nascita, l’accresciuta responsabilità delle ostetriche, alle quali è affidata la gestione delle gravidanze a basso rischio – in un paio di Ulss, tra Bellunese e Vicentino, la sperimentazione è già in atto – con facoltà di prescrivere alla gestante tutti gli accertamenti necessari.
«È un’evoluzione di ruoli conseguente alla rivoluzione professionale che ha investito la nostra categoria. Dai corsi nei convitti e dalle prime scuole professionali siamo passati all’università e ai master; prima eravano semplici esecutori, muli da soma sì, ora abbiamo cominciato a usare il cervello e siamo in grado di negoziare con decisori e legislatori», è il commento di Luigino Schiavon, lo jesolano presidente di Ipasvi, l’albo professionale che raggruppa 34 mila infermieri veneti. Una professione impegnativa e ambìta (regolata dal numero chiuso universitario) che all’ingresso in corsia offre un trattamento economico oscillante tra i 1500 e i 1700 euro: «Da una decina d’anni lo stipendio è bloccato, niente scatti, gli aumenti arrivano solo attraverso la progressione di carriera, chi fa i turni di notte può arrivare a 1900 euro», precisa Schiavon «una volta questo lavoro era monopolio delle donne, ora gli uomini rappresentano il 28% e l’età media si aggira sui 48 anni, inferiore a quella dei medici». Né mancano le sirene dall’estero, in particolare dalla Gran Bretagna, in costante penuria di personale sanitario: 2 mila gli italiani assunti negli ospedali oltre la Manica con retribuzioni superiori del 30% rispetto ai nostrani. Un velo pietoso sui casi di infermieri-killer… «Per ogni pazzo che delinque c’è un esercito di colleghi che lavora con coscienza a fianco dei malati».
Tant’è. La riorganizzazione si snoderà entro i prossimi mesi («Confidiamo nella collaborazione dei pazienti») e nel frattempo l’apertura di credito da parte di Palazzo Balbi – preceduta dai negoziati con l’assessore Luca Coletto e il direttore generale Domenico Mantoan – si è già tradotta in due nomine significative: l’infermiere Mauro Filippi è divenuto direttore dei Servizi sociali in Regione, il suo collega Achille Di Falco è stato promosso primario delle professioni sanitarie all’Azienda ospedaliera di Padova.