Una valutazione attenta dei costi e benefici, l’analisi dei pro e dei contro, l’attenta valutazione della corrispondenza alle best practice, una minuziosa indagine del rischio clinico implicito, prima di un’attività, ci perseguita assiduamente nel nostro ambito. Ci muoviamo in un mondo di valutazioni e constatazioni, controlli e stime dell’azione, prima di applicarla e dare inizio alla giusta procedura.
Cosa succede se non si preventiva adeguatamente l’impresa?
Succederà che prima o poi qualcosa la sbagliamo, tanto da far vacillare la forte ossatura della sentita profesionalità. Ma se ci si rendesse conto che un’opera che si sta compiendo è inutile? Ci fermiamo e ritorniamo indietro; raccogliamo armi e bagagli, e ripristiniamo il luogo; ci scusiamo e togliamo il disturbo.
Il caso di un’autopsia è netto. Anche se macabro l’esempio ben rischiara l’idea di un confine da non superare: dove finisce la vita, essa ha inizio, e mai prima.
L’autopsia serve a dare delle risposte vaganti in nubi interrogative. Non serve a capire perchè un braccio si muove mentre gli arti inferiori camminano. Non serve a capire perchè lo stomaco non sia situato nel cervello.
L’autopsia, pur nel rispetto dell’intento, pur cognitiva indagante, avviene solo in un momento unico, cioè solo dopo una morte accertata.
Non può esserci autopsia dove c’è vita. L’una non può assolutamente convivere con l’altra.
E chi si azzarderebbe a compiere un atto così disumano, cioè pianificare, organizzare e dare avvio ad un esame autoptico senza il canonico evento dell’indiscutibile post mortem ?
A qualcosa del genere sto assistendo, e non si è ancora concluso.
Sento su di me molteplici lame che continuano ad affondare nelle mie carni. Non una, bensì diverse cesoie tentano di aprirmi l’animo, e nonostante mi divincoli sento la stretta aguzzina.
E’ quella perpetrata a Roma il 5 luglio scorso da personaggi della Federazione degli Infermieri FNOPI. Hanno iniziato ad incidere il corpo vivo della specialistica Legale Forense e non un cadavere, hanno tentato di smembrare una coesione di realtà uscita dal loro stesso grembo materno. Hanno continuato a sciorinare numeri su numeri, e inciampando sui loro stessi ferri autoptici, hanno improvvisamente esaurito i cerotti per i tagli auto inferti in quanto la loro mano tremava troppo.
Il bello è che, una volta accortisi, hanno tentato di ricucire il tutto, sbagliando e tergiversando, confondendo la sala tra vociare di requisiti primari e secondari. Quindi cercando poi di ricucire il corpo ancora vivo più che mai della sventurata specialistica che proprio non digeriscono così come era nata.
Il rischio di agghindare un fantoccio frankensteinizzato è vicino: si vuole recidere le membra dei requisiti per invertirle; si vuole trasfondere in circolo della formalina, tanto ormai di sangue ne è stato versato (con quello che sono costati i Master di I Livello..ormai per loro carta straccia,); si vorrebbe eseguire innovativamente un trapianto di testa in modo da uniformare un unico e solo “stato di pensiero”, il loro.
Ora sanguino, ma continuo. Non saranno di certo loro a chiudermi le ferite.
Questo inutile e abominevole esame autoptico non ha fine!!!
Soprattutto non capiscono che un’autopsia non si esegue su di un corpo che ancora vive.
Come il mio.
Infermiere Legale Forense
Ufficio Stampa APSILEF
Giovanni Trianni