Utile soffermarsi sul dilemma etico che inevitabilmente si accompagna all’uso della contenzione durante il processo assistenziale.
La contenzione (fisica e non) essendo uno strumento di limitazione della libertà personale inesorabilmente e’ origine di discussione e scontro.
Come sempre bisogna avere ben chiaro il fine a cui si tende (bene del paziente) e gli strumenti messi in campo per raggiungerlo.
Diamo per scontato che il “fine” (seppur nobile) non sempre giustifica i mezzi e che tale affermazione sia stata interiorizzata da tutti i professionisti dell’ambito sanitario.
Criteri fondamentali sono l’informazione/accettazione, la proporzionalità, la straordinarietà, l’assenza di alternative percorribili.
Tutti questi criteri devono essere posti su un “sistema” di bilanciamento con pesi e contrappesi al fine di individuare quell’equilibrio che rende la “contenzione” strumento di cura e non di coercizione.
Risulta facile cadere nell’abuso, il rischio concreto è che lo strumento non sia finalizzato al raggiungimento del bene del paziente ma bensì quello dell’operatore o dell’organizzazione.
L’ uso ponderato (straordinarietà), limitato nel tempo, proporzionale in base alle condizioni e l’assenza di alternative valide, “nobilitano” l’atto elevandolo a strumento di “cura” (mirato all’auto o all’eteroconservazione). in caso contrario si configura come strumento di “tortura” e “violenza”.
A dimostrazione che lo strumento non è intrinsecamente “cattivo” o “buono”, ma è la giustificazione morale anteposta al suo utilizzo la vera discriminante.
Francesco Paolucci, Ufficio Stampa APSILEF.