Erroneamente si pensa che con l’avvento dei mezzi di comunicazione informatici e la loro applicazione in sanità le distanze tra i professionisti di diverse specialità siano annullate o quantomeno ridotte al minimo. Niente di più sbagliato da quanto ci raccontano gli studi del settore e gli incident reporting degli uffici di Risk management aziendali: il numero degli eventi avversi è considerevole e occorrono strumenti adeguati per arginare il problema (allegato 1).
I processi comunicativi tra gli operatori sembrano essersi complicati tanto da causare inappropriatezza organizzativa, clinica e terapeutica. Sono aumentati i rischi e la conseguente responsabilità professionale e tutto quanto porta inesorabilmente ad una lievitazione della spesa sanitaria e ad un aumento del personale portato a giudizio.
Alla base di un buon esito degli interventi e delle prestazioni vi è la presenza della sincronia e una integrazione di quei fattori fondamentali che costituiscono quel sistema complesso nel sistema sanitario.
Il fattore umano, se guardiamo alla gestione del rischio clinico (la possibilità che un paziente subisca un evento avverso durante una prestazione sanitaria), risulta importantissimo, e può essere risorsa o criticità. E’ risorsa quando riesce ad ottimizzare l’aspetto relazionale tra gli operatori nell’ambito della realtà organizzativa, più o meno complessa, in cui si opera. E’ criticità nel momento in cui, piuttosto che risolvere i conflitti interni ad una organizzazione, va ad alimentare stili comunicativi difettosi.
Come citato dalla Commissione Tecnica sul Rischio Clinico del Ministero della Salute nel 2004: Il Risk management in Sanità. Il problema degli errori: “Una cattiva comunicazione tra operatori può essere causa d’errori, perché l’informazione non viene passata e/o non è disponibile, con conseguenze importanti per i pazienti, che possono andare dalla somministrazione della terapia o di trattamenti scorretti, a ritardi, errori od omissioni nei trattamenti”.
Una corretta comunicazione pertanto risulta essenziale ai fini di una prevenzione dei rischi a cui possono incorrere gli assistiti, e questo può essere possibile nel caso in cui ci si affidi ad una organizzazione adeguata e ben gestita. Vanno gestiti e risolti i conflitti interpersonali e va rasserenato l’ambiente lavorativo. Gli operatori devono essere “guidati” da una leadership capace e diretta alla ricerca di un confronto costruttivo e propositivo. Non per ultimo, andrebbero evitati sovraccarichi di lavoro e andrebbero risolte le criticità strutturali e strumentali. Un ambiente sano, confortevole, pulito e funzionale è senza dubbio un ottimo punto di partenza.
Quanto suddetto è tipico di molte realtà ospedaliere, ma non solo. Tendono ad amplificarsi a livello territoriale. Vi è carenza di comunicazione tra ospedale, medico ospedaliero e medico territoriale, la quale spesso è rappresentata da semplici e brevi comunicazioni telefoniche, cartacee o faxate, o addirittura da un banalissimo cartellino di dimissione, senza null’altro da aggiungere. Tale problematica non è di esclusiva pertinenza medica. Lo stesso discorso vale per il personale infermieristico di una U.O. o di un intero Dipartimento. Questo va a compromettere seriamente la qualità delle prestazioni mediche ed infermieristiche ed alimenta il senso di sfiducia e impotenza degli operatori che si trovano a raccogliere confusi frammenti di storia clinica e terapeutica del paziente che naviga nella più assoluta confusione organizzativa.
Non è per niente facile predisporre idonee misure per favorire i processi relazionali e comunicativi fra gli operatori. Attualmente le strategie per arginare il problema sono marginali e poco adeguate.
L’omissione o la distorsione delle informazioni in una U.O. comporta pertanto un aumento dei livelli di rischio e l’assenza di un idoneo canale stabile di comunicazione fa perdere l’occasione di far accrescere lo scambio di input, mezzo primario anche di crescita professionale. Tutto questo porta il paziente a pensare erroneamente che non vi sia nel gruppo di lavoro una visione d’insieme della situazione, bensì che le varie figure agiscano a compartimenti stagni, con pensieri e voci separate, senza confluire in un’unica strategia di cura.
Questa irrisolta problematica ci porta a pensare che è assolutamente necessario cambiare rotta ed affrontare il “bug” con precisione e risolutezza. Si può fare favorendo i processi comunicativi interprofessionali fornendo la consapevolezza che una comunicazione giusta favorisce l’appropriatezza degli interventi e delle prestazioni e una riduzione degli eventi avversi. A tal fin ci si avvale di una formazione precisa, aggiornamenti periodici e mirati al Risk management. In questo modo l’arricchimento del gruppo operativo a livello umano e professionale non farà che aumentare l’efficacia e la qualità di qualsiasi trattamento rivolto al paziente, azzerando o quasi il verificarsi di incidenti.
A tal riguardo la Suprema Corte di Cassazione scrive: Cassazione (sezione IV, sentenza 16 gennaio 2015, n. 2192). Paziente muore per farmaco sbagliato. Confermata condanna per omicidio colposo a “infermiere coordinatore” che non aveva segnalato allergia riportata nell’anamnesi. Il medico incaricato dell’anamnesi, in presenza dell’infermiere coordinatore, aveva segnalato un’allergia all’amoxicillina. Ma in reparto gli viene comunque prescritta dal medico e somministrata causandone il decesso. Per la Corte l’infermiere coordinatore aveva comunque l’obbligo di vigilare e segnalare l’errore essendo a conoscenza dell’allergia del paziente.
Quindi impariamo a comunicare e a dissipare ogni dubbio.
Roberto Corbezzolo
Allegato 1: Eventi avversi_17_pubblicazioni_1563_allegato