Una esimia dottoressa attacca la nostra professione puntandoci col mirino di un delirio. Ma l’infermiere non è un bersaglio mobile.
La caccia all’infermiere è aperta, interminabile e senza confini: vorrebbe diventare anche internazionale, come abitualmente si espandono le avventure di una certa dottoressa (ed intendo medico…altrimenti si lamenta degli appellativi) che è passata in questi ultimi anni da paladina degli animali, salvando una povera gatta (anni fa, quando il suo comportamento non faceva ancora una piega) a protettrice della categoria degli OSS: ne accoglie le lamentele contro gli aguzzini infermieri, ospitandoli senza scadenza sotto la sua mistica ala protettiva; a cercatrice di gloria tra i social, i media, l’opinione pubblica sanitaria e non, nonché il mondo politico e giuridico. E’ profondamente impegnata a raccontare, ostentando i suoi fantasiosi super poteri (dice lei), quanto le bruci e rosichi che l’odiato infermiere si sia evoluto, che ragioni con la propria testa e sia ormai figura di spicco nell’equipe assistenziale.
Il cacciatore-medico solitario sembra possedere uno sconfinato arsenale per abbattere i professionisti infermieri mettendo in campo, sprecando fiato, una quantità sconfinata di passione e lungimiranza nei propri movimenti pensati ad arte.
Fu così che non avendo artifici a fare, e senza perder tempo a girarsi i pollici nell’afa agostana, ha pensato bene, giorni addietro, di denunciare 38 infermieri, in un minestrone di idee strampalate, tipo abuso della professione medica: chi per aver somministrato farmaci nell’ambito delle emergenze-urgenze, chi per utilizzo dei presidi per la gestione delle vie aeree, ed in solitaria su automezzo di soccorso INDIA. Ma il punto nodale è che ha denunciato e inveito contro la nostra professionalità specialistica costruita ad arte con sacrificio e scrupolo scientifico aderendo a linee guida e protocolli riconosciuti sia in Italia che a livello internazionale. D’altronde la Legge Gelli forse dice qualcosa a proposito di protocolli e linee guida. Proprio un tantino. E cosa succederebbe se gli infermieri non seguissero le stesse? Non proprio rose e fiori.
Quindi ha denunciato per paura di cotanta bravura?
Ha denunciato per il timore dell’infermiere specialista?
O denunciò per noia d’annebbiamento afoso?
Adora infatti stuzzicare su più punti, arrivando addirittura a mettere in guardia i cittadini della presenza di noi brutti orchi cattivi che ci aggiriamo per i bui reparti strisciando le nostre unghie affilate attendendo nell’ombra le succulente vittime da macello. Perciò redarguisce ed inneggia alla querela e alla segnalazione, stimolando fantasie inaudite appaganti solo ed esclusivamente il suo sconfinato io.
Vuole apparire, desidera far parlare di sé, anela a primeggiare in passerella sulla bocca di tutti, insultando e svilendo una categoria facente parte di un nucleo multi professionale imprescindibile che si occupa di salute accanto alla sua di categoria.
Non resiste proprio ad abbassare i toni, non ce la fa, perché si nutre di queste nebulose di odio e terrore e incultura, altrimenti al calar di un sipario il suo ego verrebbe forse rimpicciolito fino ad implodere, e si sentirebbe da sola e abbandonata dai riflettori, avendo ahimè rotto il prezioso giocattolo.
Un così glaciale fervore di idee di ostilità contro l’intera categoria dei “subalterni”, che proprio non sopporta, è perennemente fisso nella sua mente dal mattino alla sera anche e soprattutto in barba al suo Codice Deontologico che ne dovrebbe plasmare e indirizzare l’operato (nello specifico art.66 Rapporto con le altre professioni sanitarie: “Il medico deve garantire la più ampia collaborazione e favorire la comunicazione tra tutti gli operatori coinvolti nel processo assistenziale nel rispetto delle peculiari competenze professionali.” ..nel caso cara dottoressa, avesse saltato questo fondamentale articolo, sul quale ha giurato, e poi spergiurato. Mentre regna il silenzio dai più autorevoli vertici chiamati a gran voce da più parti, e da tempo: FNOMCEO e FNOPI. Non rispondono, restano al balcone, guardano in giù e nicchiano, e tentennano e ci girano intorno senza trovare un appiglio.
Al contrario si tenta qui, di insabbiare una questione bollente o aspettare che il raffreddamento arrivi celere. Soprattutto per non arrossire (la FNOMCEO) davanti alla Magistratura che in qualche modo è stata tirata in gioco dalla fantomatica dottoressa, in quanto con la propria saccenza “egouniversalistica” ha tentato e ritenta di screditare fiumi di legislazione emessa in questi ultimi anni a favore della evoluzione professionalizzante in una chiave moderna dettata da sentenze modello: dalla natura intellettuale della professione infermieristica allo scandalo del taciuto demansionamento (che grazie ad AADI, lo scorso luglio, ha trovato pane per i cariati denti di chi lo disconosceva), alla recente sentenza (Cass. IV sez. Pen. n° 20270/2019) per la quale l’infermiere deve controllare l’operato del medico per non incorrere nella correità, al principio consolidato della “possibilità di delibazione” (Cass. III sez. Civ. n°7106/2016), grazie al quale l’infermiere può astenersi da una prescrizione medica ritenuta erronea con “l’onere di adeguarne l’esecuzione ai protocolli medici vigenti e che egli abbia la possibilità di conoscere”, alla natura di professionista sanitario (Cass. IV sez. Pen. N°2031/2017), eccetera, eccetera, eccetera.
Quindi cara dottoressa, già la Magistratura riconosce che l’infermiere non è proprio uno specialista dei bidet, ma è destinato a qualcosa di più nobile.
Infatti per burlarsi di questi principi, tra i quali c’e’ anche l’impalcatura del nostro ordinamento didattico (che lei attacca), la cacciatrice dal suo mirino ci vede solo legittimati in alcuni posti, tra padelle e pappagalli, tra lavaggi e ingrassaggi, in salumeria (chi ostenterebbe il camice), ed anche con sorpresa su di una bellissima arca di Noè che naviga solo nella sua testa, in un oceano sconfinato, che non lambisce ancora alcuna terraferma nè uno scoglio neuronale.
La mia meraviglia risiede nel fatto che sembrava, la stessa, essere amante degli animali, tanto da farsi, a suo tempo, corteggiare da varie associazioni animaliste, mentre ora rinnega l’amore per alcuni preferendone altri. Tant’è infatti che impegnandosi di buzzo buono, è finita per infangarci affibiandoci nomi altisonanti: maiali, cani e capre, sempre più amorevoli di chi so io (e senza riferimenti casuali).
Ecco volendola ringraziare e trovare sempre qualcosa di positivo nei suoi artefatti, cosa fin qui impossibile, vorrei poterle dire che: è vero come il maiale, di noi non si butta niente, ogni nostra parte serve a qualcosa ed espande il suo sapore a tutta l’equipe. Abbiamo istruzione scientifica e metodo per affrontare nel miglior dei modi l’assistenza, abbiamo tenacia, passione e sopportazione all’inverosimile, siamo composti di tenerezza e compassione, di sacrificio e fortezza; senza di noi aumentano le infezioni, aumenta la mortalità intraospedaliera ( Kane et al. 2007) e diminuisce il fatturato delle Aziende sanitarie (Everhart et al. 2008), e non perché, e solo, per il fatto che qualcuno ci chiude in recinti infangati incatenandoci a lavare, stirare e a fare gli angoli dei letti.
Come i cani siamo fedeli al nostro operato e al paziente, ci crediamo e andiamo avanti affrontando le sfide del tempo, sfidando paghe misere e disconoscimento (anche se molti ancora ci abbandonano sull’autostrada assolata del demansionamento), denigrazione e invidia di qualcuno come lei che si permette di sputarci addosso anche se lavoriamo fianco a fianco (ma lei ci vorrebbe trasformare in cani da slitta). Quando ringhiamo e abbaiamo è perché ci vessano e non ci riconoscono l’attaccamento al bene del nostro assistito. Ma non scodinzoliamo mai, se non verso una tazzina di un buon caffè ristretto (perché per il lungo ci potrebbero multare) per affrontare il turno di notte.
Della capra abbiamo la cocciutaggine e la capacità di affrontare nuove sfide per fame di sapere. Ci andiamo giù a testate per risolvere il problema che prima o poi cederà sotto i nostri colpi. Ci nutriamo della vera natura del nursing, erba sempre verde ed in continua evoluzione di verità scientifica e inconfutabile. Andiamo perciò fuori dal gregge a nostro discapito, stando sempre attenti se in giro ci siano nascosti dei lupi affamati. Eppure vorremmo parlare coi lupi.
Ora per cercare di capirla meglio, carissima dottoressa, mi hanno insegnato, a scendere addentrandomi nel delirio del mio interlocutore, e subito al momento giusto, risalire ed uscirmene restando integro. Ho cercato di comprenderla, mi sono anche immedesimato nei suoi personaggi del Mondo di Oz, il maiale, il cane e la capra, ma ora è giunto il momento di risalire.
Credo che quando ci sia di mezzo la salute e questioni che riguardano la sicurezza della vita umana, tutti ci si debba fermare a riflettere. Lo sforzo per trovare il giusto approccio, non deve essere di per sé un’autocelebrazione scellerata e distaccata che abbraccia un sommo ed unico compiacimento della propria ed esclusiva arte del curare, ma una corretta e rispettosa integrazione dei saperi.
La prego, salga insieme con me la china di questo rovo di spine e la smetta di farneticare.
Il tunnel non è lungo. Lei segua sempre la luce e non rimanga nelle tenebre ad angustiarsi, così rischia veramente di rimanere sola e annichilire ogni occasione di dialogo.
Giovanni Trianni, Infermiere Legale-Forense
Ufficio Stampa APSILEF