Come non ricordare il film “Io speriamo che me la cavo” , di Lina Wertmüller del 1992 con Paolo Villaggio nel ruolo di Marco Tullio Sperelli.
La frase emblematica racchiude tutta la perplessità del professionista infermiere specialista che si vede (come nel film) frutto di un equivoco (o almeno lo spera).
L’infermiere specialista, che si ritiene approdato a (“Corsano”….luogo in cui tute le competenze acquisite vengono riconosciute e valorizzate), si trova improvvisamente confinato a (“Corzano”…..luogo in cui le competenze sono “fantomatiche” e non danno luogo a nessuna “idoneità”).
Ora il pensare che l’impianto della formazione post-base (composto principalmente dai master) non sia vincolante per l’acquisizione di competenze specialistiche oltre che essere una aberrazione si configura come un clamoroso ed inspiegabile passo in dietro dell’intera professione. Non dimentichiamo che i master ed i corsi di perfezionamento (che molti oggi criticano e denigrano) sono stati il vero motore propulsore dell’accrescimento professionale (e di certo non gratuito), sui quali vi erano riposte le ambizioni di migliaia di colleghi.
Ambizioni, voglia di riscatto ed accrescimento culturale che unito all’impulso evolutivo normativo della professione ha reso possibile affermare quello che siamo oggi, ossia “una professione intellettuale autonoma” .
Il pensare di tornare sui propri passi negando tutto, oltre che ad essere anacronistico, non riconosce giustizia a coloro che quel passo (fortemente indicato e reclamato) l’hanno fatto a proprie spese.
Con dispiacere mi vedo a riconoscere che il vero nemico della professione siamo noi stessi, sacrifichiamo tutto per la mera volontà di riscatto alla quale stiamo dando a mio avviso risposte errate.
Da qui la frase imperante….”io speriamo che me la cavo”….come un moderno Marco Tullio Sperelli che saluta i suoi ragazzi (le sue competenze) credendo di poter ancora prendere quel treno per Corsano.
Francesco Paolucci, Ufficio Stampa APSILEF.