Il rapporto legale tra Infermiere e assistente infermiere.

La svendita della professione infermieristica e la sicurezza delle cure per il cittadino a rischio.

di Felice Lippiello – Inf. Leg. For. Responsabile APSILEF Campania e Pavan Mara – Presidente APSILEF

Giunge d’impatto (dai social media e network sanitari) e all’insaputa di molti sullo scenario sanitario la proposta della figura dell’assistente infermiere, introdotta recentemente in Italia da un accordo tra il Ministero della Salute-Regioni-province Trento e Bolzano che va a posizionarsi sul confine tra l’Operatore Socio Sanitario e l’Infermiere.  Una figura ancorata pienamente all’alveo dei servizi e delle attività socioassistenziali ma che svolgerà attività di natura infermieristica.

Qual è il suo inquadramento giuridico, di cosa si occuperà specificamente e quali saranno le competenze proprie di queste figura?

Principalmente erogherà le attività di assistenza diretta ai cittadini (già costitutive del bagaglio professionale degli operatori sociosanitari!), in secondo luogo, mediante un esiguo percorso formativo eseguirà alcune attività di natura infermieristica. La stranezza che si evince dall’accordo è che l’esecuzione delle attività elementari infermieristiche saranno “su indicazione infermieristica […], supervisione o collaborando con l’infermiere […]” insomma, attribuire si, ma sovra responsabilizzando di ulteriori oneri il personale infermieristico e mettere ancora di più a rischio la loro posizione di garanzia. Agire sul paziente sotto la supervisione degli Infermieri, una longa manus bis  del datore di lavoro? Se si vuole istituire una nuova figura da inserire nell’organizzazione sanitaria per dare migliore risposta al cittadino, bisogna strutturarla meglio, formarla con radici formative solide e renderla totalmente indipendente dall’Infermiere, non surrogarlo!!!

Poi, cosa ne penseranno i datori di lavoro che mediante il proprio personale hanno il dovere di garantire il diritto alla salute ai cittadini, rispettando i fini pubblicistici imposti dalla Costituzione e  basare la cura sui criteri di certezza e di sicurezza?

Al di là dei discutibili contenuti dell’accordo, ciò su cui è utile soffermarsi è relativo alla capacità giuridica di agire riconosciuta all’assistente infermiere nel poter fare, ed è particolarmente interessante evidenziare che gli stessi possono operare nonostante l’assenza di una specifica abilitazione riconosciuta dallo Stato, cosa che invece HANNO GLI INFERMIERI o altri professioni intellettuali (medici, notai, ingegneri, farmacisti e dentisti a norma dell’ art. 2229 c.c.). La speciale abilitazione dello Stato costituisce atto di garanzia sulle prestazioni che il professionista eroga al cittadino (protezione, prevenzione, precauzione, sicurezza, aggiornamento professionale, il rispetto pieno delle leges artis). Può una formazione regionale e un’abilitazione regionale equipararsi ad un percorso formativo universitario statale? Parliamo di due concetti distinti e separati da una netta linea dalla lunghezza indeterminabile. E’ in corso un’azione di svendita del diritto alle cure sicure?

Focalizzandoci invece sulla speciale abilitazione dello Stato per esercitare una professione, in questo caso potrebbe addirittura ipotizzarsi una forzatura all’articolo 348 del codice penale, ma per quale motivo? Cosa mostra il precetto? Si legge:

  • Co.1: Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni con la multa da euro 10.000 a euro 50.000;
  • Co.3: Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.

L’articolo 348 c.p. è posto a tutela dell’interesse pubblico, affinché determinate professioni siano esercitate, solo ed esclusivamente, da soggetti abilitati ed iscritti ad un albo professionale, per garantire ai cittadini i requisiti minimi di idoneità e capacità di colui che la esercita (2229 c.c.).

Esempio n.1 – concorso nel reato di esercizio abusivo della professione.

Cassazione penale sez. VI, 08/07/2020, n.21989

In tema di esercizio abusivo della professione medica, risponde a titolo di concorso nel reato il responsabile di uno studio medico che consenta o agevoli lo svolgimento dell’attività da parte di soggetto che egli sa non essere munito di abilitazione. (nella motivazione la Corte ha precisato che il professionista abilitato non versa in posizione di garanzia rispetto al reato commesso dal soggetto non abilitato, sicché la responsabilità a titolo di concorso si fonda sulla consapevolezza dell’assenza del titolo ed il connesso assenso, anche tacito, all’esecuzione di atti professionali).

L’Infermiere e il doppio binario di responsabilità.

Se in qualità di responsabile dell’assistenza infermieristica generale si affida la propria integrità giuridica al modus agendi  dell’assistente infermiere, si può pacificamente ritenere di essere responsabile della propria scelta e contemporaneamente dell’altrui operato? Attribuire un compito ad un sottoposto rappresenta una circostanza della cooperazione con il fine ultimo di soddisfare la prestazione sanitaria attesa dal creditore – utente. Secondo la definizione dei ruoli sanciti nell’accordo Stato-Regioni, possiamo pacificamente parlare che le scelte dell’Infermiere, sebbene caratterizzate da “elevata standardizzazione” rappresentano sempre un potenziale rischio di esecuzione e rientrano pienamente nel perimetro della culpa in eligendo e culpa in vigilando. Quando si parla di attività sanitaria di “piccola equipe” bisogna pensare a quella che si svolge in cooperazione sincrona tra Infermieri e assistenti infermieri, o in fasi successive che non coincidono temporalmente con l’attribuzione della prestazione. Ciò che si caratterizza è la cooperazione del delitto colposo (c.d. concorso improprio, disciplinato dall’articolo 113 c.p.) e, quello che viene in evidenza in caso di lesione del diritto del paziente, è il legame psicologico che si realizza tra gli agenti, ognuno dei quali conscio della condotta altrui. Dall’eventuale evento si valuteranno le condotte individuali e le circostanze fattuali riguardo il caso specifico.

Ma l’errore può generarsi anche già ex ante da una non idonea valutazione del caso, generando quindi un effetto domino a danno del paziente.

Una massima dalla Corte di Cassazione per chiarirci le idee.

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 26 gennaio 2018, n. 3869.

In tema di causalità, che non può parlarsi di affidamento sull’operato altrui quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succedono nella stessa posizione di garanzia, eliminino la violazione o pongano rimedio alla omissione, con la conseguenza che qualora, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto o potuto impedire, esso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo assurgere a fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento.

L’infermiere e il demansionamento.

Per concludere, associare il nome assistente infermiere alla figura dell’Infermiere, formalizza pienamente un passo indietro di 30 anni, si ritorna all’era del mansionario.

La facilità di ricondurre la professione infermieristica alla funzione materiale dell’assistente infermiere farà inevitabilmente focalizzare l’attenzione degli utenti e del mondo sanitario sul concetto che l’Infermiere è colui che svolge tutte le attività, sia dirette di natura alberghiere, sia intellettuali, insomma, l’Infermiere factotum. Il demansionamento/dequalificazione più di oggi arriverà ai massimi storici e l’impatto in pejus sulla professione ne costituirà di conseguenza (tra i vari problemi) l’ulteriore abbandono e nessuna attrattività.

A questo punto potremmo addirittura ipotizzare di riscrivere le ormai già consolidate linee giurisprudenziali che si sono pronunciate sul demansionamento infermieristico per la violazione dei diritti contrattuali, dove moltissimi Infermieri hanno subito (e subiscono) negli ambienti ospedalieri una lesione alla dignità personale e professionale (talvolta con il tacito assenso degli organi di direzione della stessa professione che ne sono a conoscenza) in quanto obbligati a svolgere le attività di natura alberghiera e non quelle del proprio profilo professionale.

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