Recentemente la Corte Costituzionale ha rilevato l’assenza di una «adeguata tutela» nell’assetto normativo che riguarda il fine vita.
Il Parlamento avrà un anno per colmare la lacuna, intervendo con una «appropriata disciplina».
Cappato viene imputato per aiuto al suicidio, nello specifico lo si accusa di aver accompagnato in una clinica svizzera, dove scelse di morire, dj Fabo.
Indubbiamente il nostro quadro normativo risulta essere non adeguato ai nuovi interrogativi sul fine vita. Nel quotidiano ogni professionista sanitario tocca con mano come le “tecnologie biomediche” hanno creato le condizioni per sostenere le funzioni vitali oltre i normali limiti naturali.
La domanda che bisogna chiedersi è come la professione risponde a tali interrogativi.
Come porsi dinnanzi alla volontà di anticipazione intenzionale della morte da parte di pazienti per i quali al momento non vi è un percorso di cura da intraprendere.
La nostra professione è votata alla vita e tale concetto è fortemente sottolineato nella sua carta deontologica; ma sempre più l’autonomia del paziente sembra essere preponderante nella scelta delle cure e sempre più tende a polarizzare gli orientamenti dei professionisti sanitari che se ne prendono cura. Può il “diritto alla morte” istillare nel professionista sanitario un “dovere” nel condividerlo?
Può ancora il professionista anteporre la propria coscienza al diritto/pretesa del paziente?
Gli ultimi casi di cronaca hanno riportato sotto i riflettori la tematica; il vuoto normativo che per anni è stato “volutamente” creato sul fine vita è tornato in superficie con tutta la sua drammaticità.
Tutto ciò insegna che il non legiferare su materie anche delicate non è la soluzione migliore, il mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi non è la via maestra.
Come vivere da “professionisti della salute” il tema del fine vita, siamo pronti e preparati sul tema; ritengo proprio di no.
La sofferenza (il grande male della società) che la tecnica non è ancora riuscita a sconfiggere è la grande paura che colpisce ed immobilizza.
Rimanendo in attesa che il Parlamento legiferi in materia ritengo che sulla tematica si evidenzia una voragine formativa nella professione infermieristica.
Un bisogno formativo a cui gli attuali percorsi di studio (compresi quelli post-vede) risultano fortemente carenti.
L’augurio è che a tali lacune si fornisca quanto prima rimedio battendo sul tempo i tempi letargici della politica.
Francesco Paolucci, Ufficio Stampa APSILEF.