La realtà processuale emersa e cristallizzata dall’ultima Sentenza in merito, non fa altro che confermare quanto da tempo (e da molti) viene sostenuto, ossia che il demansionamento infermieristico esiste, e pone chi lo esercita al di fuori della sfera del diritto.
Ora, in diverso contesto tale verità sarebbe ovvia, condivisa dalla totalità dei professionisti (poiché persegue il fine deontologico della dignità del proprio agire professionale), ma nella realtà infermieristica italiana trova (incredibilmente) accaniti oppositori.
Possibile che la realtà di fatto (e come acclarato anche quella processuale) sia messa in discussione in virtù di un richiamo alle “radici” della professione.
Sulle nostre radici (umili ed ancellari -realtà storica) é stato “innestato” il pensiero scientifico, intellettuale, critico sotteso al metodo scientifico; questo non significa che vi è un rinnego delle proprie origini (poiché negare il proprio passato non ci permette di orientarci nel futuro – perdendone di fatto la direttrice-).
Il restare ancorati al passato (o alle radici) non permette che il futuro della professione si manifesti.
Pensare che la professione tragga slancio dal passato risulta oltre che errato anacronistico; il passato è fondamentale poiché funge da “leva” allo slancio in avanti, negare ciò significa preferire l’immobilismo (Cit. Dal Gattopardo – tutto cambi affinché nulla cambi-).
Non vi è faziosità nell’affermare ciò, non vi è autoreferenzialità, vi è solo consapevolezza del proprio agire.
La Professione deve trarre linfa vitale dal confronto non dall’indottrinamento, non vi è “cultura” professionale nel negare il fenomeno del demansionamento, forse vi è opacità nel saperlo riconoscere.
Francesco Paolucci, Ufficio Stampa APSILEF.