Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di una società di somministrazione lavoro autorizzata e dell’Associazione nazionale delle agenzie per il lavoro, bocciando un “appalto di servizi” all’Asl Roma 6 che in realtà “ha ad oggetto una somministrazione di personale – attività, quest’ultima, ex lege riservata alle Agenzie per il Lavoro iscritte nell’apposito Albo presso il ministero del Lavoro” – come si legge nella sentenza.
20/03/2018 – Un abitudine nata nelle Asl e negli ospedali che per far fronte alla carenza di personale (infermieri, Oss, ausiliari, ma anche personale tecnico e amministrativo) in regime di blocco delle assunzioni utilizzano il meccanismo degli appalti per migliaia di figure professionali, spendendo centinaia di milioni e affidando l’organizzazione soprattutto a cooperative.
A fermare il meccanismo è il Consiglio di Stato che, con la sentenza 1571/2018, su ricorso di una società di somministrazione lavoro autorizzata e dell’Associazione nazionale delle agenzie per il lavoro (Assolavoro), ha bocciato un “appalto di servizi” dell’Asl Roma 6 che in realtà “ha ad oggetto una somministrazione di personale – attività, quest’ultima, ex lege riservata alle Agenzie per il Lavoro iscritte nell’apposito Albo presso il ministero del Lavoro” – come si legge nella sentenza.
Lo stesso Consiglio di Stato sottolinea che “conseguenza di tale erronea impostazione è che la partecipazione alla gara è stata consentita a tutte le imprese commerciali, a cui è vietata la somministrazione di personale pena la commissione di un illecito amministrativo (cfr. art. 40 del Dlgs n. 81 del 2015); mentre è stata preclusa alle Agenzie per il Lavoro – e tra queste alla società appellante – a causa dei particolari requisiti d’accesso richiesti, incentrati sullo svolgimento di servizi analoghi a quelli oggetto di gara”.
La sentenza sottolinea che anche “la Corte di Cassazione è intervenuta a dettagliare in modo ancor più specifico gli indici sintomatici della non genuinità di un affidamento formalmente qualificato come “appalto”, ma in realtà dissimulante una somministrazione di personale, ravvisandoli nei seguenti elementi:
a) la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro;
b) l’inserimento stabile del personale dell’appaltatore nel ciclo produttivo del committente;
c) l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore rispetto a quella svolta dai dipendenti del committente;
d) la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l’espletamento delle attività;
e) l’organizzazione da parte del committente dell’attività dei dipendenti dell’appaltatore”.
“Si tratta – sottolinea il Consiglio di Stato – di indici ricorrenti anche nella fattispecie qui all’esame e complessivamente attestanti il carattere fittizio dell’appalto”.
Infatti, per il Consiglio di Stato “appare chiaro che le prestazioni richieste dalla Asl sono identificate non già in ‘servizi’, bensì in numero di ore di lavoro annue: per il ‘supporto giuridico, amministrativo, tecnico e contabile’ la Asl chiede 31.200 ore annue di lavoro; per il ‘supporto e gestione dei servizi centrali, distrettuali e ospedalieri’ la Asl chiede 22.568 ore annue di lavoro; per l’attività di ‘archiviazione, data entry e front office’ la Asl chiede 62.566 ore annue di lavoro; per il supporto alla liquidazione e gestione ordini, consegne e pagamenti la Asl chiede 18.928 ore annue; per la segreteria alle Direzioni aziendali, ospedaliere e Distrettuali la Asl chiede 36.296 ore annue di lavoro”.
“Questo primo dato – commenta la sentenza – dimostra che l’Azienda mira sostanzialmente a integrare il proprio personale interno, dimostratosi insufficiente, con altro personale esterno, in modo da garantire il regolare svolgimento delle proprie attività d’ufficio”.
E il Consiglio di Stato non ha dubbi: “Un simile scenario sfugge alla logica tipica dell’appalto di servizi – ove l’appaltante affida all’appaltatore lo svolgimento di prestazioni connesse a un preciso risultato, finalizzate alla realizzazione di un opus dotato di consistenza autonoma – e manifesta affinità, piuttosto, con lo schema tipico della ‘somministrazione di lavoro’ a tempo determinato, che si caratterizza per la ricerca di lavoratori da utilizzare per i generici scopi del committente, in chiave d’integrazione del personale già presente in organico”.
“Dunque – tira le somme la sentenza – risulta sufficientemente chiaro che l’appaltatore non svolge alcun servizio ‘diverso’ da una mera attività di ausilio collaborativo al personale dipendente della Asl”.
Secondo i giudici ricorre la causa “tipica” della somministrazione di lavoro, il cui fine tipico è proprio l’“integrazione” del personale nell’organigramma del committente e “dunque, la carenza di misure atte a scongiurare l’interferenza e la commistione tra i lavoratori, unitamente all’assenza di linee di cesura in grado di differenziare autonome fasi di produzione, forniscono ulteriore conferma della natura fittizia dell’appalto”.
Il Consiglio di Stato prosegue nella sentenza a individuare le anomalie dell’appalto e sottolinea che questo “anche se traguardato sotto il profilo della sussistenza di una effettiva e sostanziale organizzazione dei mezzi” in realtà “presenta vistose contiguità con la fattispecie della somministrazione di personale, se solo si considera che:
– gli orari di lavoro non vengono definiti autonomamente dall’aggiudicatario, ma sono da esso programmati sulla base delle specifiche esigenze della Asl, che si riserva la possibilità di richiedere prestazioni lavorative anche in giornate festive;
– quanto alle sostituzioni del personale, si prevede che la Asl possa richiedere la sostituzione del singolo lavoratore assente e che soluzioni alternative per fronteggiare le assenze debbano essere concordate con la Asl;
– non vi è traccia di una qualche attività di organizzazione di mezzi e di attrezzature destinate alla esecuzione del servizio, dovendo l’aggiudicatario limitarsi a “fornire” lavoratori”.
La sentenza prosegue con la disamina delle irregolarità contenute nell’appalto rispetto a una reale somministrazione lavoro e, conclude, “per tutto quanto esposto, la disamina in concreto dei contenuti del contratto smentisce la qualificazione giuridica a esso assegnata dalla Asl e conduce a ravvisarvi una somministrazione di lavoro”.
“Così riconfigurata, la gara si appalesa illegittima sia nella parte in cui non omette di richiamare, quali requisiti di partecipazione, il possesso dell’autorizzazione ministeriale e la conseguente iscrizione all’Albo, tutte norme di garanzia applicabili esclusivamente alla “somministrazione di lavoro” e non invece ai contratti d’appalto di servizi …; sia nella parte in cui prevede requisiti di ammissione inerenti lo svolgimento di servizi analoghi a quelli oggetto di gara, essendo questi propri delle imprese che svolgono appalti di servizi ma non anche delle agenzie di lavoro che, come la società appellante, operino esclusivamente nel campo della somministrazione di personale”.
Quindi il Consiglio di Stato giudica l’appello contro l’appalto fondato “e determina, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso di primo grado e il conseguente annullamento degli atti con esso gravati”.
Sulla sentenza è intervenuto il sindacato Usb, commentando il “notevole aggravio di costi per il servizio pubblico, con il conseguente peggioramento della qualità del servizio e delle condizioni di lavoro e il contestuale esplodere della corruzione per le aggiudicazioni” legate alla fittizia somministrazione lavoro.
E fa un calcolo per spiegare le accuse: fatto cento il costo di un’ora di lavoro, l’appalto per somministrazione costa 105, viceversa nell’appalto per beni e servizi – l’oggetto reale dell’appalto – la stessa ora costa 125.
Secondo l’Usb una sola cooperativa ha presso il Policlinico Umberto I circa 600 infermieri in appalto. Ogni ora lavorata di questi infermieri costa alla Regione circa 26 euro, ma al lavoratore ne arrivano circa 10 lordi.