CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 marzo 2015, n. 4878
Svolgimento del processo
1. V.C., dipendente dell’Azienda ospedaliera “Ospedali civili” di X, con la qualifica di collaboratrice professionale sanitaria- infermiera (categoria D), in data 22 giugno 2007 rivolse all’Azienda ospedaliera istanza di aspettativa per 18 mesi, a far tempo dal 1° agosto 2007, pari alla durata del rapporto di lavoro a tempo determinato stipulato con altra azienda ospedaliera.
1.2. L’Azienda rigettò l’istanza per esigenze di servizio, connesse alla cronica carenza di personale infermieristico ed alle ferie già programmate, ed invitò la lavoratrice a riprendere servizio. L’invito non fu accolto, sicché la Azienda contestò alla lavoratrice l’assenza arbitraria e ingiustificata e, quindi, per la stessa ragione, le intimò il licenziamento con preavviso.
1.3. Su ricorso della lavoratrice, il Tribunale di Monza rigettò la sua domanda diretta all’accertamento e alla declaratoria dell’illegittimità, inefficacia o nullità del licenziamento. La sentenza è sfata confermata dalla Corte d’appello di Milano con la sentenza del 21 settembre 2011, qui impugnata.
1.4. La corte territoriale ha respinto tutti i motivi di impugnazione: in particolare, rigettate le eccezioni preliminari di rito proposte dall’appellante, ha ritenuto che l’art. 12 del C.C.N.L. del 2001, letto in combinato disposto con l’art. 31 dello stesso C.C.N.L – Comparto Sanità, subordini ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione la concessione al lavoratore di un periodo di aspettativa per esigenze personali e di famiglia, nonché per la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato; che i chiarimenti resi dall’A. sull’esatta interpretazione dell’art. 12, comma 8, lett. b) del C.C.N.L. citato non avevano efficacia vincolante per il giudice; che non erano state messe in discussione le ragioni organizzative addotte dalla Azienda ospedaliera per negare l’aspettativa, né l’irrazionalità del comportamento datoriale.
1.5. Contro la sentenza la C. propone ricorso per cassazione fondato su cinque motivi, cui resiste la Azienda ospedaliera di X con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.
2. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione di nonne di diritto (art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c.). Lamenta che la corte territoriale, come il giudice di primo grado, avrebbe violato a) il disposto dell’art. 420 c.p.c. che prevede l’obbligatorietà del libero interrogatorio delle parti; b) il disposto dell’art. 429, comma 2°, c.p.c. nella parte in cui non aveva concesso alle parti un termine per il deposito dì note difensive, necessario in considerazione della “novità della questione trattata”, pure riconosciuta dalla Corte di Milano; c) i principi di indipendenza ed imparzialità del giudice, avendo il giudice del merito disatteso le ragioni giuridiche e le posizioni da lei esposte, ignorando altresì il principio del “favor praestatoris”, che caratterizza il nostro ordinamento e rinviene dalla “posizione giuridica di debolezza del lavoratore”.
3. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 360, comma 1°, n, 3, c.p.c.), Assume che la corte avrebbe erroneamente interpretato l’art. 12, comma 8°, lett. b) del C.C.N.L. del Comparto sanità pubblica del 20 settembre 2001, il quale riconosce ti diritto del lavoratore all’aspettativa, senza retribuzione e senza decorrenza di anzianità, per il caso di assunzione a tempo determinato presso altro datore di lavoro. Tale interpretazione era stata condivisa anche dall’A., che, con i chiarimenti resi, aveva precisato che l’art. 31, comma 15° del citato C.C.N.L. riguardava altre fattispecie, ed era pertanto inapplicabile al caso in esame.
4. Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c. e rileva che l’aver ritenuto non vincolanti i chiarimenti resi dall’A. – secondo cui, nella contraddizione esistente tra l’art. 12, comma 8, lett. b) del C.C.N.L. di comparto e l’art. 31, comma 15, del citato C.C.N.L.. doveva ritenersi prevalente la formula contenuta nell’art. 12, perché questo disciplinava ex novo e in generale il sistema delle aspettative -, costituiva violazione dell’art. 64 del d.igs. 30 marzo 2001, n. 165.
5. Con il quarto motivo denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art.360, comma 1°, n. 5, c.p.c., per le ragioni sopra esposte, in particolare perché, a norma dell’art. 64 del d.lgs. citato, le conclusioni del giudice di merito avrebbero dovuto essere favorevoli all’accoglimento della domanda di essa ricorrente.
6. Con il quinto motivo censura la sentenza per “violazioni e disapplicazioni di norme di legge, di norme contrattuali e di principi anche costituzionali”, e rimanda per l’illustrazione del motivo “integralmente al ricorso di primo grado e al ricorso in appello”.
7. In via preliminare, deve rilevarsi che tutte le censure su esposte, nella parte in cui sono rivolte alla sentenza di primo grado, devono per ciò solo ritenersi inammissibili (v. Cass., 23 marzo 2014, n. 6733; Cass., 15 marzo 2006 n. 5637; Cass., 19 maggio 2006 n. 11844). Ciò premesso, il primo motivo è, nella sua intera articolazione, in parte infondato e in parte inammissibile.
7.1. È infondato con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 420 c.p.c., essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che tanto il libero interrogatorio delle parti quanto il tentativo obbligatorio di conciliazione non sono previsti a pena di nullità del procedimento di primo grado, e quindi della sentenza resa nel caso di loro omissione, con la conseguenza il loro mancato espletamento non è censurabile quale error in procedendo. (Cass., 7 giugno 2002, n. 8310; Cass., 4 novembre 1986, n. 6449).
7.2. E invece inammissibile nella parte in cui deduce la pretesa violazione dell’art. 429, comma secondo, cod. proc. civ., dal momento che la norma attribuisce al giudice il potere discrezionale di autorizzare le parti al deposito di note scritte per la decisione della causa, con la conseguenza che la mancata autorizzazione, per essere espressione della sua discrezionalità, è insindacabile da parte del giudice di legittimità (Cass., 5 agosto 2013, n. 18627; Cass., 16 giugno 1998, n. 5988). Deve aggiungersi che l’inammissibilità sta anche nel difetto di autosufficienza, dal momento che la parte non riporta, neppure per sintesi, il contenuto del verbale o comunque dell’atto processuale in cui sarebbe stata formulata la richiesta del termine.
7.3. il motivo è inammissibile anche con riguardo alla dedotta violazione del principio di imparzialità e terzietà del giudice, non avendo la parte indicato in modo specifico quale delle eccezioni o delle domande non sarebbero state oggetto di esame da parte del giudice del merito, così violando il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass., 18 ottobre 2013, n. 23675). Del tutto generica è poi la censura riguardante la violazione del principio del favor verso il lavoratore, in mancanza di specifica indicazione della norma o dei principi che sarebbero stati violati dal giudice di merito.
8. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, di cui appare opportuna la trattazione congiunta poiché involgono la medesima questione, sono infondati.
8.1. Deve in primo luogo rilevarsi che non sussiste l’improcedibilità del ricorso dedotta dalla Azienda resistente con riferimento al mancato deposito del C.C.N.L., poiché – trattandosi di un contratto collettivo di diritto pubblico, per il quale, in considerazione del peculiare procedimento formativo, del regime di pubblicità, della sottoposizione a controllo contabile della compatibilità economica dei costi previsti, l’esigenza di certezza e di conoscenza da parte del giudice è assicurata, in maniera autonoma, mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 47, comma 8, del d.Igs. n. 165 del 2001 – l’improcedìbilità del ricorso per cassazione a norma dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.( non può conseguire al suo mancato deposito, dovendosi ritenere che la successiva previsione, introdotta dal dlgs. n. 40 del 2006, debba essere riferita ai contratti collettivi di diritto comune (Cass., sez. un. 4 novembre 2009, n. 23329).
8.2. Nel merito i motivi sono infondati, l’art. 12 dell’Accordo 20 settembre 2001, integrativo del C.C.N.L. del Comparto sanità stipulato il 7 aprile 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 ottobre 2001, n. 248 S.O., sotto la rubrica “Aspettativa” nella parte che qui interessa, così prevede al comma 1°: “1. Al dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che ne faccia formale e motivata richiesta possono essere concessi, compatibilmente con le esigerne organizzative o di servizio, periodi di aspettativa per esigenze personali o di famiglia senza retribuzione e senza decorrenza dell’anzianità, per una durala complessiva di dodici mesi in un triennio “.
8.2. II comma 8°, sempre per quanto qui di interesse, dispone; L’aspettativa, senza retribuzione e senza decorrenza dell’anzianità, è, altresì, concessa al dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato: a) (omissis); b) per tutta la durata del contralto di lavoro a termine se assunto presso la stessa o altra azienda o ente del comparto ovvero in altre pubbliche amministrazioni di diverso comparto o in organismi della comunità europea con rapporto di lavoro ed incarico a tempo determinato; c) (omissis).
8.3. I commi 9° e 10° dispongono che “È disapplicato l’art. 47 del DPR 761/1979. ” (comma 9°) e che ” Il presente articolo sostituisce l’art. 27 del CCNL 1 settembre 1995, come modificato ed integrato dal CCNL del 22 maggio 1997 (comma 10).
8.4. L’art. 27 del C.C.N.L. 1 settembre 1995, nella sua formulazione originaria, disciplinava l’istituto dell’aspettativa “per comprovati motivi personali o di famiglia”, senza retribuzione e senza decorrenza dell’anzianità, per un periodo massimo di dodici mesi nel triennio, subordinando ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione, come è desumibile dall’uso della locuzione “può essere concessa”, prevista al comma 1°.
8.5. La norma non prevedeva l’ipotesi dell’aspettativa in caso di assunzione dei dipendente presso la stessa o altra azienda con contratto a tempo determinato: tale ipotesi è stata infatti introdotta dall’art. 8 del C.C.N.L. 22 maggio 1997, che ha integrato il citato art. 27 del C.C.N.L. con il quinto comma, a tenore del quale “al dipendente a tempo indeterminato, può essere concesso un periodo di aspettativa, nei limiti previsti dal comma uno, in caso di assunzione a tempo determinato presso la stessa o altra azienda”.
8.6. L’art. 31 dell’Accordo del 20 settembre 2001, inserito nel Capo I, intitolato “Rapporti a termine” e sotto la rubrica “Assunzioni a tempo determinato”, con una formulazione letterale che ricalca in modo pressoché testuale il quinto comma dell’art. 27 del C.C.N.L. 1995, come integrato dal C.C.N.L. 22 maggio 1997, al comma 15°, prevede quanto segue: “15. Al dipendente a tempo indeterminato, può essere concesso dall’azienda o ente di provenienza un periodo di aspettativa, ai sensi dell’art. 12, comma 8 lett. b) del presente contratto, per la durata del contratto dì lavoro a tempo determinato eventualmente stipulato con la stessa o altra azienda o ente del medesimo o di altro comparto”.
9. La sentenza impugnata ha correttamente interpretalo l’art 12 in esame sulla base del dato letterale come inteso a dettare, nel comma 1°, una disciplina di carattere generale dell’istituto dell’aspettativa, laddove la disciplina più dettagliata delle varie ipotesi in cui essa può essere concessa è contenuta nei commi successivi. Ha pertanto ritenuto che l’espressione contenuta nel primo comma possono essere concessi compatibilmente con le esigenze organizzative di servizio periodi di aspettativa per esigenze personali e di famiglia”) attribuisca all’amministrazione un potere discrezionale di concedere (o negare) l’aspettativa, subordinando tale potere alla valutazione della insussistenza (o sussistenza) di ragioni aziendali incompatibili con l’assenza temporanea del lavoratore, in tatti i casi in cui tale assenza è consentita dall’art. 12.
9.1. In altri termini, l’aspettativa prevista e regolata dal comma 8°, lett. b) del citato art. 12 deve essere inquadrata, per quanto riguarda i presupposti per la sua concessione, nella previsione generale contenuta nel comma 1°.
9.2. Obbietta la ricorrente che l’uso del verbo altresì, concessa”, contenuto nella norma in esame, in luogo del verbo “può” (contenuto nel primo comma), confermerebbe la configurabilità. in capo al lavoratore, di una situazione giuridica soggettiva non subordinata ad alcun giudizio di compatibilità con le esigenze aziendali: siffatta obbiezione non coglie, tuttavia, nel segno e ciò non solo per lo stretto legame che unisce la locuzione verbale con l’avverbio “altresì” – il quale, in quanto sinonimo di “anche”, “pure”, “parimenti”, assimila l’ipotesi in esame a quelle previste nei commi precedenti, tutte sottoposte, quanto la loro concessione, alla valutazione discrezionale dell’ammmistrazione – quanto piuttosto dalla chiara formulazione dell’art. 31 dello stesso Accordo, il quale, nel disciplinare i contratti a tempo determinalo, ribadisce, attraverso l’espresso richiamo all’art. 12, comma 8°, lettera b), la possibilità per il lavoratore a tempo indeterminato di chiedere l’aspettativa in caso di stipulazione di un contratto a termine con altre amministrazioni: nel far questo, utilizza il verbo “potere”, riproducendo la vecchia formulazione dell’art. 27 del C.C-N.L. 1/9/1995, come integrato dal C.C.N.L. del 22 maggio 1997, sopra riportato, così rendendo manifesto il collegamento che le parti sociali hanno inteso realizzare fra l’accordo del 1997 ed i successivi contratti.
9.5- Ne consegue che, anche alla luce di una interpretazione complessiva delle suddette clausole, – prevista dall’art. 1363 c.c., tradizionalmente rientrante tra le nonne che regolano l’interpretazione soggettiva (o storica) del contralto (artt. 1362 – 1365 c.c.), in quanto tende a porre in luce la concreta intenzione comune delle parti ed impone la lettura coordinata delle clausole, onde ricondurle ad armonica unità e concordanza (v. Cass., 3 novembre 1977, n. 4693; Cass. n. 5 aprile 2004, n.6641; Cass., 17 febbraio 2010, n. 3685) -, risulta confermata l’esattezza dell’opzione ermeneutica fatta propria dalla corte territoriale.
10. Infine, si profilano infondate le censure di violazione dell’art. 64 del d.lgs. n. 165/2001, nonché di omessa ed insufficiente motivazione mosse alla sentenza impugnata, nella parte in cui non ha tenuto conto del parere espresso dall’A. in data 24 maggio 2002.
10.1. E’ invero incontestato che tale parere non è stato reso all’esito del procedimento previsto dalla norma citata e che, pertanto, esso non sia il risultato di un accordo sull’interpretazione autentica della clausola tra la detta agenzia e le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo, al quale soltanto la legge attribuisce il valore di sostituire la clausola in questione sin dall’inizio della vigenza del contratto (art. 49 del d.lgs. n. 165/2001).
11.2 Esso, pertanto, al pari delle informazioni o osservazioni rese dalle associazioni sindacali ex art. 425 c.p.c. (cfr. Cass.. 15 marzo 2010, n. 6204; Cass., 4 marzo 2002, n. 3081; Cass., 29 luglio 1994, n. 7103) deve ritenersi inidoneo, in considerazione del suo carattere unilaterale, ad identificare la comune intenzione delle parti stipulanti il contratto collettivo, rilevante ai sensi dell’art. 1362 c.c., potendo al più assurgere alla funzione di fornire chiarimenti ed elementi di valutazione riguardo agli elementi di prava già disponibili, rientrando nella generica nozione di materiale istruttorio liberamente e discrezionalmente valutabile dal giudice (cfr. Cass., 19 giugno 2004, n. 11464).
11.3. Non sussiste dunque il denunciato vizio di motivazione, essendo compito esclusivo de! giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova (cfr. Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass., 15 luglio 2009 n. 16499).
12. Infine, con riguardo al quinto motivo di ricorso, è palese la ragione di inammissibilità per genericità della censura, che preclude al Collegio ogni possibilità di individuare la norma che sì assume violata o falsamente applicata (Cass., Sez. Un., 18 luglio 2013, n. 17555).
13. In conclusione, deve affermarsi che l’aspettativa prevista dall’art. 12, comma 8°, lett. b), dell’Accordo 20 settembre 2001, integrativo del C.C.N.L. del Comparto sanità stipulato il 7 aprile 1999, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 ottobre 2001, n. 248 S.O., può essere riconosciuta al dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato “per tutta la durata del contratto di lavoro a termine se assunto presso la stessa o altra azienda o ente del comparto ovvero in altre pubbliche amministrazioni di diverso comparto o in organismi delta comunità europea con rapporto di lavoro e dì incarico a tempo determinato” – fermi restando gli altri presupposti ed imiti posti dalla norma citata – ’’compatibilmente con le esigenze organizzative o di servizio” dell’amministrazione, dovendo in tali sensi essere interpretata la norma suddetta, in coordinamento con il comma 1 dello stesso art. 12, nonché dell’art. 31 del medesimo Accordo.
14. II ricorso deve dunque essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a! pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in € 100,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre oneri accessori come per legge.