Pubblicato in Sentenze 10/02/2012
Con la sentenza n. 4914 dell’8 febbraio 2012 la Cassazione ha confermato la condanna di uomo, colpevole di aver ingiuriato, minacciato e percosso la sua compagna, spinto dal movente della gelosia.
In particolare il reato di minaccia, ad avviso dei giudici di legittimità, ben può configurarsi anche se la vittima tace per paura di eventuali ulteriori reazioni violente dell’uomo; il silenzio, infatti, non esclude bensì addirittura conferma lo stato di turbamento psichico e di soggezione.
Nel caso di specie, i due conviventi, insieme in vacanza, avevano litigato a causa di una telefonata ricevuta da lei: ciò era bastato a far scattare la rabbia dell’uomo, il quale aveva minacciato di uccidere la fidanzata investendola con l’auto, e le aveva stretto la mano in maniera così forte da causarle una frattura del dito mignolo.
La donna aveva preteso di essere accompagnata alla stazione per tornare a casa, ma alla fine i due avevano fatto ritorno insieme ed ella, per paura di aggravare la reazione dell’uomo, non aveva chiesto aiuto né informato taluno dell’accaduto.
La quinta sezione penale della Cassazione ha ritenuto che il comportamento della donna, nel farsi riaccompagnare a casa dall’imputato, non escludeva lo stato di timore o turbamento della sua libertà psichica, necessario per il configurarsi del reato, ben potendo essere stato determinato dal timore di conseguenze peggiori, stante il contesto di violenze fisiche e di minacce nell’occasione posto in essere dal compagno.