Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 03.12.2013 n° 27057 (Riccardo Bianchini)
Un’amministrazione locale aveva inviato alcuni ordini di servizio presso il domicilio del lavoratore dipendente che, in qual momento, si trovava in altra località durante il peridio di godimento delle proprie ferie (debitamente richieste e concesse dall’amministrazione datore di lavoro).
Tali ordini di servizio, mai ritirati dal lavoratore, avevano ad oggetto la revoca delle ferie concesse e l’ordine di riprendere l’attività lavorativa.
Al mancato rispetto degli ordini di servizio così inviati, era dunque seguito il licenziamento del lavoratore: licenziamento prontamente impugnato.
Nel corso dei due gradi di merito il lavoratore otteneva pronunce ad esso favorevoli, nel senso dell’accertamento dell’illegittimità del licenziamento così disposto.
L’amministrazione locale aveva quindi proposto ricorso per cassazione al fine di veder affermata l’erroneità della pronuncia di secondo grado.
In particolare, il ricorrente deduceva una serie articolata di motivi di ricorso.
In primo luogo, veniva dedotto l’erroneità consistente nel ritenere che le comunicazioni di richiamo in servizio inviate presso il domicilio del dipendente fossero irrilevanti essendo questi in ferie. Ciò, secondo il ricorrente, sia in base al principio di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., secondo cui la notificazione effettuata ai sensi di tale disposizione si perfeziona comunque, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa, sia in base all’art. 23 del c.c.n.l. applicabile, il quale prevedeva tra i doveri del dipendente quello di “comunicare all’Amministrazione la propria residenza e, ove non coincidente, la dimora temporanea nonché ogni successivo mutamento delle stesse“.
Da tali ordini di ragionamento, secondo il ricorrente, il dipendente in ferie sarebbe stato tenuto a comunicare la sua dimora temporanea ed i successivi eventuali mutamenti al datore di lavoro.
Tale motivo veniva però ritenuto infondato, in quanto la Corte ha ritenuto che sussiste il diritto del datore di lavoro di conoscere il luogo ove inviare comunicazioni al dipendente nel corso del rapporto di lavoro e non già durante il legittimo godimento delle ferie, stante sia la natura costituzionalmente tutelata del godimento delle ferie, che le connesse esigenze di privacy.
In altri termini, “il lavoratore è libero, salvo diverse pattuizioni, di godere secondo le modalità e nelle località che ritenga più congeniali al recupero delle sue energie psicofisiche”, senza che sussista alcun obbligo di comunicare al datore di lavoro il luogo di destinazione, cosa, questa che comporterebbe “una inammissibile e gravosa attività di comunicazione formale, magari giornaliera, dei suoi spostamenti.”
Veniva poi dedotto che, ai sensi dell’art. 2109 c.c. e dell’art. 18 del c.c.n.l. applicabile, il datore avrebbe avuto il diritto di richiamare dalle ferie il dipendente con ordine per quest’ultimo vincolante, permanendo, anche durante il godimento delle ferie, il potere del datore di lavoro di modificare il periodo feriale anche a seguito di una riconsiderazione delle esigenze aziendali.
In conseguenza di ciò, la Corte d’appello avrebbe errato nella sua pronuncia nel non applicare l’art. 55, d.lgs. n. 165/01 e l’art. 25 del c.c.n.l. di riferimento: disposizioni, queste, che consentirebbero il licenziamento per assenza ingiustificata del lavoratore, quale che fosse la causa dell’assenza.
In sostanza, secondo il ricorrente, il licenziamento sarebbe legittimo in quanto conseguirebbe ad una assenza ingiustificata derivante, a propria volta, dal corretto esercizio del potere di revocare le ferie già concesse. Una volta revocate le ferie il lavoratore avrebbe cioè dovuto rientrare in servizio immediatamente.
Sul punto, la pronuncia mette però in risalto una circostanza ben precisa in ordine al potere datoriale di revocare le ferie già concesse: ossia che esso sia esercitato non soltanto prima dell’inizio delle stesse, ma finanche con un congruo preavviso di tempo.
In sostanza, la Corte ha ritenuto infondato l’argomento del ricorrente negando in radice il presupposto iniziale del ragionamento. Il datore di lavoro, secondo la pronuncia in esame, ben può motivatamente revocare le ferie, ma ciò soltanto prima che esse abbiano iniziato a decorrere, affermando testualmente che il potere di revoca in questione “presuppone all’evidenza una comunicazione tempestiva ed efficace, idonea cioè ad essere conosciuta dal lavoratore prima dell’inizio del godimento delle ferie, tenendo conto che il lavoratore non è tenuto, salvo patti contrari, ad essere reperibile durante il godimento delle ferie”.