BLS pediatrico. Valutare lo stato di coscienza.

Carmelina Mandracchia
Infermiera Legale Forense Carmelina Mandracchia

Proviamo ad immaginare uno scenario: un operatore sanitario, durante la valutazione dello stato di coscienza di un paziente pediatrico, tocca alcune parti del corpo molto sensibili al dolore, ma “delicate” al tempo stesso. I genitori assistono alla scena e minacciano di denunciare l’operatore per “violenza sessuale”.

 

L’infermiera legale-forense Carmelina Mandracchia, prova a fare una disamina del caso attraverso il suo elaborato.

 

Mi viene da condividere un pensiero relativo al caso in questione. La lettura legale forense di un “fatto” raffigurante reato e/o illecito penale sovente non rispecchia una logica specifica di ognuno di noi quando ci troviamo di fronte a una situazione il cui confine tra il vero, il verosimile e/o falso è molto sottile e in una situazione del genere la tendenza giurisprudenziale verte intorno alla condanna del presunto molestatore. Le molestie non hanno una precisa collocazione codicistica all’interno del Codice penale ma rientrano nella fattispecie di “Molestie e disturbo della persona”.

Data la rilevanza giuridica del fenomeno, la giurisprudenza ne ha riconosciuto l’illiceità penale, riconducendo la fattispecie nell’ambito della contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. che recita espressamente:

“chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico,  ….., o per altro biasimevole

motivo, reca a taluno molestia o disturbo,  ….,.”

La molestia è diversa dalla violenza sessuale (art 609 bis c.p.). ed è a querela di parte. Per la violenza sessuale una volta fatta denuncia, non può essere più ritirata. Quanto premesso porta alla considerazione che in casi di questo genere entra in campo in maniera determinante, la discrezionalità del giudice la cui convinzione nel valutare le prove è prevalentemente alla base della sentenza relativa.

Nel caso di specie mi vien da dire trattandosi di un minore: come premessa credo che la difesa sia poco persuasiva in quanto affermare che l’azione introdotta sia di pertinenza infermieristica è alquanto debole e potrebbe risultare pretestuosa.

La linea dovrebbe o avrebbe dovuto essere un’altra e sarebbe lungo sottolinearla in questo scritto.

1) Data la nostra realtà professionale che come infermieri di fatto abbiamo raggiunto traguardi inimmaginabili sino ad avere professori ordinari in infermieristica pur tuttavia dobbiamo ancora purtroppo, fare i conti con la realtà operativa quotidiana (specie in alcune aree geografiche) che ancora ha dei refusi atavici basati su un retaggio culturale con cui dobbiamo fare i conti.

2) Nell’immaginario collettivo è ancora diffusa la scarsa considerazione del valore della professione infermieristica. È proprio la collettività che ancora ci pone come figure subordinate che nulla possono fare se prima non viene autorizzato dal medico che non dovrebbe entrare indisturbato nell’operato dell’infermiere per carenza di conoscenze delle Scienze infermieristiche e competenze nell’applicazione delle buone pratiche specifiche.

3) Va evidenziato con forza che un grave problema che affligge la professione infermieristica è la mancanza di “COESIONE, SOLIDARIETA’, CONDIVISIONE, RICONOSCIMENTO DEI PROPRI LIMITI E SOTTOVALUTAZIONE DELLE PROPRIE E ALTRUI POTENZIALITA’, ECC.)

4) L’azione messa in essere dall’infermiere sicuramente non comporta la convinzione della supposta intenzionalità ma è raffigurabile a un’azione quanto meno poco consona al caso specifico.

5) E’ opportuno ricordare che il giudice quando deve esprimersi fa sovente riferimento al detto “, …. , del buon padre di famiglia, … , .”.

6) La responsabilità penale è personale e non c’è protocollo-procedura, L.G. che tengano. La procedura dà indicazioni di massima, il protocollo è un’istruzione operativa, le L.G. sono raccomandazioni che aiutano ma non in termini di discolpa dall’accusa vera o falsa che sia.

7) Ogni nostra azione operativa deve essere guidata da questo detto e se si tratta di un minore e/o anche di un c.d. “incapace”, le antenne della nostra attenzione devono essere tese e funzionanti per evitare di incorrere inconsapevolmente a un reato se raffigurato o anche semplicemente a un illecito che al di là della presunta colpevolezza, porta il datore di lavoro a prendere le distanze sospendendo o addirittura licenziando. L’organizzazione, se pur non condivisibile tutela l’azienda a priori con tale provvedimento. È un comportamento organizzativo diffuso.

8) Il fatto che vi possa essere una procedura/protocollo a suffragio di come agire in presenza di un minore come in questo caso non libera dalla responsabilità l’infermiere che ha agito, se nella sua azione, i genitori hanno visto/interpretato/tradotto un comportamento quanto meno lesivo per la dignità del minore. Oserei dire che se vi fosse un protocollo specifico che non include quella manovra, la posizione dell’infermiere si potrebbe aggravare e l’azienda sarebbe completamente esclusa dalla responsabilità in quanto azione personale dell’infermiere. Nell’eventualità di assenza del protocollo la posizione dell’infermiere non cambierebbe rispetto alla convinzione dei parenti del minore.

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