L’emergenza Covid-19 non è soltanto un semplice stato globale di grave allerta sanitaria, almeno non in Italia, almeno non per gli infermieri. Almeno non è solo questo!
L’eccidio di massa dei sanitari che contagiati, contagiano, portando dappertutto un’ombra di morte, fino a perire loro stessi continua, e un altro dubbio fa capolino all’orizzonte, e non è proprio un arcobaleno.
Ora l’interrogativo strisciante che sta prendendo piede nel mondo infermieristico e non solo è agghiacciante, un dubbio amletico, classico come da letteratura.
Circa un secolo fa Edmond Haraucourt scrisse in un suo poema: “Partire è un po’ morire”, gettando le basi di un pensiero inneggiante alla nostalgia. Ma qui la trasformazione del nesso ci spinge nella sua tragicità a trasformare, per una forza dirompente degli eventi, la famosa affermazione. I migliaia di operatori sanitari ed infermieri contagiati si chiedono, ma più che altro affermano che: “Restare” sia un po’ “Morire!”. Si perché insieme ad altre centinaia di migliaia di colleghi si stanno rendendo conto che, se non si muore nelle corsie, restare è anche peggio! Vivere, non morire, restare e soffrire è senz’altro un dubbio più che amletico, che finirà per distruggere tutto il lavoro fatto, finirà per distruggere anche i superstiti.
Un malcontento continuo
Da più parti si avverte una corrente di serpeggiante malcontento ad inasprire gli animi. Le voci si rincorrono, il collega racconta la sua vicenda all’altro, che a malincuore conferma e a testa bassa, risponde che ci è passato, il terzo a sua volta asserisce essere nel bel mezzo della disputa. Ma cosa sta succedendo di tanto grave?
I turni massacranti già noti da tempo a tutti, passano ormai in secondo piano per la naturalezza di come siano affrontati dagli operatori sanitari. Qui la gravità, subdolamente insediata fin dal primo giorno, con l’obbligo perentorio alla discesa in campo senza dispositivi di protezione, ancora continua, segue come un’ombra l’infermiere avvolgendolo interamente, ma assume nuove forme.
I plotoni di esecuzione fanno parte della guerra, certo, ma quando sono formati dalla parte amica, allora qualcosa non torna.
Il tradimento dalla parte “amica”
Succede che migliaia di colleghi siano allineati, messi al muro e prontamente bendati, e non parlo di esecuzioni da contagio, non è il Covid-19 che vorrebbe punire con la sua spietatezza, già lo fa senza chiedere: centinaia di migliaia di infermieri e altri operatori sanitari si sentono stretti e con un cappio al collo dalle proprie amministrazioni, dalle proprie direzioni e da chi li dovrebbe proteggere; centinaia di migliaia di spade di Damocle pendono sulle teste degli operatori sanitari ormai allo stremo.
Molte segnalazioni pervenute, parlano in effetti di “bende sugli occhi”, sotterfugi, convincimenti, spauracchi e minacce adottate fin dal primo giorno da parte di numerose Aziende, nei confronti del proprio personale, che già prudentemente e con testardaggine pretendeva la dotazione di una semplice mascherina di protezione.
Non solo le derisioni erano all’ordine del giorno, ma il fare interrogativo a stabilirne la motivazione risultava sconsiderato e inopportuno: “Ma quale mascherina? Non ce n’è bisogno, si potrebbero spaventare i pazienti e creare falso allarmismo!”
A chi reiterava dubbi, a chi nutriva perplessità, a chi chiedeva spiegazioni e chiarimenti in forma scritta, venivano promessi a iosa rapporti disciplinari e una non celata segnalazione di “pecora nera” nel contesto operativo, che avrebbero pagato alla fine, attingendo da un fantasioso “libro nero” dei buoni e dei cattivi.
Lo svolgersi dell’emergenza nel tempo, sta insegnando come si stia evolvendo la richiesta di peripezie contorsionistiche ai propri dipendenti. Terminata la fase “fanciullesca” della semplice mascherina, molte Direzioni hanno manifestato ad ampio spettro, una non adeguata aderenza a linee guida ministeriali, mondiali e regionali, in un minestrone di competenze sovrastanti, smentendo le prime per le successive e viceversa. Ad un certo punto ci si chiedeva quasi, quale bene primario dovesse prevalere: se salvare più vite umane possibili, se salvaguardare le casse dell’economato, se e chi sacrificare, in un fuggi-fuggi inconcludente significativo di carenti progettualità di rischio clinico.
I primi errori ben presto hanno portato con sé la prima scia di sacrifici, ed ancora continuano gli eccidi, ma con variabilità ed aspetti singolari per tutte le realtà.
Preminenti in questa baraonda la necessità dei dispositivi di protezione, che addirittura per protocollo interno hanno determinato l’allungamento della lista delle assurdità. Tutto appariva potenzialmente utile, in una corsa agli “armamenti”: da veli vergognosi di carta igienica a coprire la faccia, a buste di plastica come calzari, con pezzi di cartone a mò di sciarpe anti-droplets e copricapo.
Non si capiva e tutt’ora (ed ancora non è chiaro) se vi fosse carenza, non comunicabilità, intoppi burocratici o con orrore farmacie ospedaliere zeppe, con Responsabili del Servizio redarguiti al risparmio.
Tant’è che credo possibile realizzarsi entro l’anno, un attivo di bilancio, e una dormita più sicura tra due cuscini, per coloro i quali, in piena emergenza si sono aumentati lo stipendio (e ce ne sono), e per chi si sia gettato a capofitto nel risparmio delle tute impermeabili. Segnalazioni di operatori sanitari infatti, hanno evidenziato con dati certi, non solo il pluriutilizzo di tali dispositivi, indispensabili per l’acceso dalla zona filtro al reparto COVID dedicato, bensì il fatto che fosse indossato da tutti e lasciato all’altro, turno dopo turno, fino a consumarlo, perfino prima o dopo che il medesimo fosse stato utilizzato dall’Oss.
Da segnalazioni di sindacati, sembra che gli operatori non vadano neanche al bagno per la scarsa quantità di dispositivi, ricorrendo all’utilizzo di pannolini e cerotti.
E che dire di turni fatti apparire per magia con criterio “tappa-buco”, con infermieri a “rotazione”, presi da più punti nei vari reparti a lavorare come su una giostra nel reparto COVID; e dei neo-assunti sbattuti ed inviati allo sbaraglio?
Non si finirebbe più di elencare le gravi falle che ancora continuano, dalla (per mancanza di volontà) non esecuzione di tamponi agli operatori (per paura di chiudere tutto), alla malgestione di percorsi idonei, alla trascuratezza di gestione.
Oltre al danno la beffa
Un colpo di spugna stava per essere passato su responsabilità di malpractice emerse in corso di epidemia, grazie all’emendamento Marcucci, che come una ventata primaverile voleva infiorare il Parlamento. Le valutazioni di comportamenti omissivi e/o commissivi, erano destinate ad essere affossate con una costruzione di uno scudo sia penale che civile mirato a protezione contro gli errori emersi.
La non-punibilità proposta (che di già sembrerebbe un echeggiare della legge 8 marzo 2017, n. 24 c.d. Gelli Bianco) come tutela degli operatori sanitari che hanno agito in “stato di necessità” e scarse risorse, come potrebbe avvenire in uno “stato di guerra”, sarebbe potuta trasformarsi in una “amnistia generale” lungimirante per Aziende (pubbliche e private), Manager delle Regioni, Dirigenti Amministrativi a tutti i vertici, perfino quelli governativi, quasi ad approfittare di un “saldo di stagione”.
Chi ha paura di essere sottoposto ad un giudizio così schiacciante ed oneroso, legando mani e piedi ai Magistrati italiani?
Ora sembra ferma, parcheggiata nel dimenticatoio, ma col motore acceso, e a serbatoio carico!
D’altra parte le cronache di questi ultimi giorni lo stanno evidenziando, non c’è voluta una sfera di cristallo. Emerge infatti una situazione amara, che conduce proprio su questa strada.
In questi momenti già tragici l’Autorità Giudiziaria, sta provvedendo ad acquisire materiale utile a stabilire responsabilità (penali e amministrative) che si celerebbero dietro migliaia di decessi in molte RSA e Case di Riposo, dalla Lombardia, al Molise, alla Puglia, ipotizzando reato di epidemia colposa e omicidio colposo.
Non solo per quanto riguarda l’esplosione inattesa che giustificherebbe la mancata preparazione di progetti arginanti l’emergenza.
Focus principale emergente (denunciano molti dipendenti) sembrano essere assurde direttive che vietavano l’uso delle mascherine (per non spaventare i pazienti), ancora in fase di emergenza avanzata, la mancanza di tamponi, e la cattiva gestione di logistica. Una delibera della Regione Lombardia dell’8 marzo, infatti, chiedeva alle Strutture Socio Sanitarie di allestire reparti Covid dove accogliere pazienti “a bassa intensità” provenienti dagli ospedali.
Ora si farà chiarezza, e molto si sta smuovendo dal fondo.
Un fondo poco chiaro che vede ancora i professionisti sanitari allo sbaraglio contro i,„ plotoni di esecuzione“ delle proprie Aziende.
E’ solo l’inizio!
Giovanni Trianni
Infermiere Legale Forense
Ufficio Stampa APSILEF