Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di un’Infermiera legale forense in servizio in un’Azienda in provincia di Modena. Ne seguiranno molte altre di ogni Profilo Professionale a cui daremo spazio per rappresentare la realtà che le Professioni Sanitarie stanno vivendo in questo momento storico molto critico e che ha già creato troppe vittime innocenti, non eroi!
“Coronavirus, il medico di Bergamo: <<Negli ospedali siamo come in guerra>> (Corriere della Sera, 9 Marzo 2020)
“Ospedali al collasso” (L’eco di Bergamo, 15 Marzo 2020)
“Gli anziani sono i più deboli fra i deboli. Caricare di ulteriori responsabilità le strutture residenziali sarebbe gravissimo” (Maria Grazia Cavallo, avvocato torinese, 10 Aprile 2020)
Mi presento sono un’infermiera forense, ma prima di tutto sono un’infermiera e lavoro in una casa di riposo.
In quasi ormai due mesi di quarantena forzata, di messaggi promozionali per rimanere a casa, di ricette fatte e mangiate come nel miglior Masterchef che si rispetti, ho riletto qualche titolo di giornale in merito al Coronavirus. La maggioranza di questi amplifica il grido di aiuto degli ospedali, sovraccaricati ed oberati di lavoro, responsabilità, posti letto mancanti, contagi che calano e aumentano come in un’altalena.
Ma se sfogliamo a modo fra le varie pagine di Google, dei principali siti di divulgazione scientifico-sanitaria, possiamo anche sentire la flebile voce delle strutture sul territorio.
Sì, perché se è vero che gli ospedali hanno subito in pieno lo tsunami del Covid targato Wuhan, bisogna però riconoscere che anche le strutture sanitarie residenziali stanno pagando a caro prezzo questa pandemia, che colpisce indifferentemente infermieri, medici, operatori e ospiti.
Infatti, le RSA sono state chiamate, secondo le regolamentazioni ed i contratti locali, ad alleggerire ed alleviare la pressione sugli ospedali, offrendo posti letto a pazienti dimissibili.
Tralasciando i dibattiti politici ed economici in merito a questa decisione, ho pensato di prendere spunto da ciò per parlarvi di un’esperienza in CRA vissuta pienamente “da dentro”, delle perplessità e delle paure delle strutture di aprire le porte a dimissioni ospedaliere. Ma non solo, anche della grande forza di volontà, dell’organizzazione e della collaborazione che tutto ciò porta, senza dimenticarsi di tutelare in primis chi in queste strutture vi è residente, ossia gli ospiti, i veri innocenti di questa storia, i deboli da proteggere.
Per raccontarvi tutto questo, vorrei partire dalla mia esperienza personale e per farlo vi devo necessariamente far entrare con me (virtualmente si intende) nel mio luogo di lavoro, una struttura CRA in provincia di Modena (62 ospiti). Pronti? Entriamo.
Anzi, suoniamo.
Si perché dal 23 Febbraio 2020, con l’inizio delle prime limitazioni, anche noi abbiamo adottato un’importante restrizione, estrema se volete a quel tempo, ma molto lungimirante col senno di poi, ossia: chiudere le porte della struttura, non consentire l’ingresso ai parenti dei nostri ospiti e limitare qualsiasi altra tipologia di entrata allo stretto indispensabile (segnalando su un registro gli ingressi). Eccessivo? Forse si all’inizio, ma ad oggi ci ha garantito l’assenza di casi nella nostra piccola realtà.
All’ingresso, poi, è presente un gel alcolico per le mani e il coordinatore vi offre una mascherina chirurgica, se già non l’avete, vi chiede inoltre di mantenere un metro di distanza l’uno dall’altro: tutte cose che già sappiamo.
Per ora non curiamoci del corridoio a destra ma proseguiamo dritto, verso il salone principale.
Possiamo vedere gli ospiti a distanza di sicurezza di almeno un metro. Se avete l’occhio acuto noterete molti erogatori di gel alcolico per la disinfezione delle mani lungo i corridoi e su alcuni tavoli nella sala, a fruibile uso di operatori ed ospiti stessi. Forse quest’ultimi non li noterete tutti e 62: chi ha avuto la febbre nelle 48 ore precedenti, infatti, anche se al momento apiretico, lo troverete in camera (alzato o a letto), ma comunque isolato in maniera fiduciaria dal resto del gruppo. Ciò ci permette di monitorare il decorso della sintomatologia, per escludere eventuali sospetti virali ed evitare il contagio di massa.
L’animatrice sta cercando di organizzare le videochiamate con i familiari, perché si sa la quarantena e l’isolamento sono dure anche per i nostri ospiti. Immaginate la risorsa che possono essere parenti che aiutano ad imboccare i propri cari, che li portano in giardino a fare una passeggiata, che li rallegrano in una giornata triste: bene immaginate che tutto questo dal 23 Febbraio è venuto meno e quanto può rendere ancora più fragile un anziano.
Ma facciamo un passo indietro e proseguiamo verso la guardiola infermieristica: vi salutano i miei colleghi, che stanno leggendo e verificando il piano di lavoro per i nuovi ingressi di questi giorni, provenienti dall’ospedale. Abbiamo già quattro dimissioni e altrettante ne arriveranno. Sono tutti indaffarati perché l’obiettivo non è solo accogliere queste persone e garantire la miglior assistenza possibile, ma anche tutelare gli altri ospiti residenti in CRA. Il lavoro è tanto, le figure sono tutte impegnate: il medico, la RAS (responsabile delle attività sanitarie, o coordinatrice infermieristica), gli infermieri, le RAA (responsabile delle attività assistenziali), gli operatori, il coordinatore di struttura. C’è chi telefona incessantemente col PUASS per avere informazioni, spesso veloci o incomplete; chi esige la negatività dei tamponi al fine di evitare la nascita di focolai in struttura; chi predispone le stanze ed il materiale necessario per la persona; chi fa spostamenti di camera. Il medico di struttura si è reso disponibile a venire tutti i giorni, aumentando le ore di visita in questo periodo. E non è semplice, perché in tutto questo tempo fatto di azioni e burocrazia la vita di struttura deve andare avanti e nessun altro ospite ha diritto a subire un danno da ciò.
Nemmeno l’ospite più delicato della nostra realtà: un signore affetto da SLA (sclerosi laterale amiotrofica), con BPCO (bronco-pneumopatia cronico ostruttiva), ventilato e in nutrizione entrale totale (NET). Si trova nell’ultima stanza in fondo al corridoio e fortunatamente ci saluta con il suo bellissimo sorriso: oggi è una buona giornata, sta facendo l’attività della tosse con la fisioterapista e da lì a poco verrà alzato in carrozzina, in stanza per evitare contagi.
Vi ricordate quel corridoio a destra dell’ingresso (esattamente all’opposto della stanza del signore con SLA), che vi avevo detto di non considerare? Bene ora ci avvieremo lì e tenetevi pronti perché entriamo nella parte di edificio dedicata ai “Sospetti covid”.
Di cosa sto parlando? Al fine di ridurre il rischio di insorgenza di nuovi focolai in struttura abbiamo isolato un’intera ala, dedicandola alle dimissioni ospedaliere. In questo luogo sono presenti 8 stanze singole (tanti sono i posti richiesti dall’AUSL), ognuna dotata di materiale assistenziale e sanitario personale e personalizzato in base alla tipologia di paziente. Ad ogni dimissione ospedaliera stiamo richiedendo doppio tampone negativo per Covid 19 e RX ai polmoni (radiografia) entro le 48 ore dalla dimissione; inoltre, nonostante ciò, al fine di evitare ulteriori contagi all’ingresso in struttura, in queste stanze gli ospiti rimangono due settimane in isolamento per sospetto Coronavirus: vengono quindi utilizzati i DPI (dispositivi di protezione individuale) e si entra solamente vestiti per eseguire le operazioni ed azioni di routine. Inoltre si cerca per quanto possibile, di garantire un monitoraggio costante e, a breve, si sta valutando l’assegnazione di un turno infermieristico interamente dedicato.
Purtroppo noi siamo una struttura residenziale, abituata ad avere sì pazienti pluripatologici ma non pazienti con potenziale patologia infettiva. Pertanto abbiamo messo in atto le migliori soluzioni secondo le nostre possibilità. Non abbiamo scordato il piano psico-sociale del nostro lavoro, anche con i pazienti in isolamento: infatti, una volta terminate le manovre sanitario-assistenziali, dedichiamo qualche minuto a parlare con loro, aiutarli nel contatto con i parenti (chiamate tramite telefono o videochiamate con tablet), proporre programmi tv che potrebbero interessargli.
Ecco, la struttura presenta anche un piano superiore in cui però vi sono solamente ospiti residenti.
Per quanto nel racconto tutto vi sia sembrato fluido, arrivare a questa organizzazione non è stato semplice: ha richiesto impegno, energie e strategie funzionali per gestire al meglio l’onda d’urto che il Coronavirus ha portato nelle strutture residenziali sul territorio.
Secondo l’avvocato Maria Grazia Cavallo (avvocato torinese che sta dando voce alle strutture sul territorio), “per quanto ben funzionanti, le Rsa non sono né strutturalmente né finalisticamente funzionali a gestire situazioni così delicate come la compresenza, sia pure in settori separati e dedicati, di malati anziani portatori di malattia ancora così poco conosciuta e contagiosa. Per quanto efficienti – aggiunge l’avvocato – le strutture potrebbero diventare bombe di contagio. Inoltre, il contagio rischierebbe di moltiplicarsi in maniera esponenziale perché riguarderebbe persone particolarmente contagiabili per età e per essere spesso portatori di pluripatologie. Oltre a ciò, si aumenterebbe il rischio di contagio a cui sono già esposti anche i collaboratori delle strutture, dedicati all’assistenza costante degli altri anziani ricoverati”.
Ho voluto citare la dottoressa Cavallo perché in poche e semplici parole riassume il sentimento che nelle CRA si vive oggi, ossia l’inadeguatezza di mezzi, strutture e risorse; oltre che alla paura di contagio e la necessità di tutela degli altri ospiti residenziali.
Difatti i presidi sono numericamente inferiori rispetto a quelli ospedalieri, le stanze non sono adatte a contenere un’eventuale presenza di contagio e la formazione di operatori spesso viene fatta sul campo.
Per quanto riguarda la mia realtà, per concludere, nonostante ciò stiamo mettendo il massimo impegno per gestire questa difficile situazione, cercando di fornire a tutti la miglior assistenza possibile. Abbiamo cambiato mentalità e ci siamo resi più flessibili, nonché disponibili a continui piani di lavoro che mutano in base al numero di ingressi e tipologie di pazienti. Abbiamo fatto formazione mirata e sul campo, nonché personale, tramite corsi sulla vestizione/svestizione in caso sospetto o reale di Covid 19, corsi FAD e corsi organizzati dalla RAS di struttura. Siamo costantemente in collaborazione con AUSL e commitenza, al fine di offrire il contributo migliore possibile.
Per ora ci stiamo riuscendo e sono molto fiera della coesione e del senso di appartenenza che questa sfida ci ha lanciato e donato. Quello che ci aspettiamo è il rispetto ed il riconoscimento: rispetto per chi abita le CRA e per chi lavora nelle CRA, che si trova ogni giorno a dover tutelare i suoi ospiti e combattere questa pandemia, ed il riconoscimento del grido di aiuto che ogni giorno viene lanciato per avere DPI adeguati, esami diagnostici per valutare il contatto e tempo per organizzare le dimissioni.
Infermiera Legale forense di APSILEF