Infermiere o chierichetto? Questo è il problema!
Con la nascita dell’infermiere di parrocchia si gettano le basi per una grave
discriminazione della laicità dello Stato e l’accesso alle cure. Si
intacca il Codice Deontologico dell’infermiere che deve assistere e curare
tutti indistintamente, senza discriminazione di ogni tipo.
Di chi il merito?
FNOPI se ci sei batti un colpo!
Ecco perchè mi merito il diploma di infermiere di parrocchia ad honorem.
Da ragazzo ho fatto il chierichetto, da grande sono infermiere.
Ora qualcuno si alza al mattino e pensa di cambiare le carte in tavola (non sua), crede di scoprire nuovi pianeti inesplorati, abbraccia il desiderio salvifico di risolvere la piaga della solitudine, dell’emarginazione e della sanità italiana, usando l’infermiere come chewing-gum, dopo averlo masticato e non riconosciuto per altre competenze, a tappare buchi e a raccattare pezzi perduti da altri Servizi.
Come al solito. Chi ha voce in capitolo, la Federazione degli Infermeri (FNOPI), se ne sta ferma in un angolo all’ombra da questa calura, in barba ad un susseguirsi di Codici Deontologici che negli anni si sono alternati a imprimere distintivamente un’immagine ancora non capita ed accettata di buon grado dalle Istituzioni, ma nemmeno dai misteriosi omini “premi-bottoni” (vedi demansionamento).
E non qualcuno a caso ma la CEI, a braccetto con l’ASL Roma1, stanno permettendo e rischiano con questa iniziativa di ghettizzare il sistema dell’assistenza del quale solo l’infermiere e altri vertici in capo ad esso hanno il diritto di prelazione e sono gli unici a poter riconoscere e legittimare un percorso nuovo, se riconosciuto necessario, come già avvenuto per l’infermiere di Famiglia e di Comunità.
La “macchinazione” sta interessando purtroppo altre Regioni italiane come la Basilicata ed il Piemonte, e rischia di far piombare in un Medievo inquisitorio una figura sanitaria chiave di volta del bisogno di cura, come la nostra.
Che fine farà la laicità di Stato? Addio Costituzione e assistenza senza vincoli; benvenuto infermiere volontario intercettatore dei bisogni inespressi. Ma dove si andrà a parare? A pensare male si azzecca con notevole percentuale, ma il dato di fatto parla chiaro e potrebbe da solo rispondere a semplici ma fondamentali domande:
- il paziente che non è cattolico sarà abbandonato sulla strada come carne da arrotamento per le auto di passaggio?
- L’infermiere che non è cattolico può rifiutarsi di andare in un ambito religioso diverso dal proprio? O servirà un ordine di servizio?
- Ci sarà l’intramoenia?
- Ci sarà la fila fuori dalle Chiese disposta a mentire un’ideologia per l’urgenza di farsi curare?
- I Servizi Sociali del territorio natio saranno assorbiti dalle mense comunali?
- Le diversissime comunità religiose presenti in Italia si costiuiranno parte civile in una class action contro il Vaticano e la Stato italiano per grave discriminazione sul diritto alla salute?
- Come vestire l’infermiere di Parrocchia?
- Sarà adibito alla consegna delle ostie?
- Ma così facendo verrà meno il laborioso lavoro della Caritas o entrerà anch’essa in una nuova equipe multidisciplinare?
Una volta, tanto tempo fa, dopo aver “servito” Messa, ci fu un prete che mi regalò un santino. Suo padre aveva diretto i lavori di quella chiesa (una importante della mia città). Non so se al pari di una chimera o un obbligo velato, mentre me lo donava, mi disse: “Con la speranza che un giorno tu diventi prete come me!”. Un segno del destino in queste parole?
Alla luce delle notizie di questi ultimi giorni, direi quasi. Ci siamo. Ora forse grazie alla mia specializzazione eseguita sul campo, farò parte dei primi “Infermieri di Parrocchia” ad honorem. Grazie a ore ed ore di studio di Catechismo, e sudore imperlato da incenso me lo sono proprio meritato. La mia esperienza in generale fu divertente, come passatempo tranquillo dell’adolescenza, quasi un passaggio obbligato, tra gare a chi più serviva sull’altare, fino ad arrivare a strapparci le tonache di dosso per come ce le contendevamo, alle nomination per le processioni, a chi sorbiva meno “picozzi” (pacchere sulla testa date con la dura nocca manesca che solo un religioso arrabbiato per il ritardo al catechismo può dare), a chi resisteva senza urlare alla cera (stromboliana) incandescente degli enormi ceri infiammati durante i cortei sacri, e tanto ancora.
Un’altra volta successe che svenni. Era giugno, già si sudava solo a star seduti tra i banchi e immobili. Era la festa del Santo della parrocchia e tutto era pronto per la processione: la celebrazione del rito volgeva al termine. La Chiesa pullulava di gente che in trepida attesa per l’uscita imminente del Prorettore grondava sudata e ammutolita. Sarà che io già sensibile ad una temperatura esterna intorno ai 20 gradi, per merito dell’insopportabile tonaca da chierichetto di cotone orlato, sintetica con risvolti bianchi e neri (il nero avrà attratto ancora gli ultimi raggi di sole penetranti dagli enormi lucernari), per le lunghe pause di genuflessioni circondato da nebbie profuse tra sentore di gigli, panegirico finale e incenso a bizzeffe, ebbi un attimo di offuscamento mentale, vuoto allo stomaco e giramento di tutta la Chiesa intorno a me. Capì che qualcosa non andava. Mi alzai e percorsi il lungo corridoio tra i banchi fino alla porta di legno, che si allontanava sempre di più. Volevo sparire, lontano da tutti. Non stavo per niente bene. Ormai brancolavo nel buio. Ma le ultime cose che vidi furono il color mogano della porta e la mia mano destra che voleva dire due paroline alla maniglia. Voleva incontrarla. Ma un ultimo suono, irruppe dirompente nel silenzio intimo degli astanti in profonda preghiera: quello della mia testa che incontrò in corsa la solida porta tanto attesa. Crollai.
Quindi penso che con questa gavetta potrei benissimo aspirare ad una nomina ad honorem di Infermiere di parrocchia anch’io.
Forse andrebbe rivisto il tutto prima che accanto al confessionale sorga una cabina medicazioni per tutti gli intercettati. Medicazioni interminabili alle rotule dei fortunati cattolici, prevedendo una migrazione di massa dalle stazioni, dai parchi pubblici e periferie e quant’altro di bordo societario esistente, per essere intercettati quali abbisognevoli, e solo in corteo a ginocchioni o sui ceci.
Nella speranza che non si arrivi ad una richiesta immane di abiure verso la propria religione al fine di ottenere altre cure gratuite e sicure (in cui l’Italia di certo non eccelle), vado subito a prepararmi una bella cornice per il mio nuovo diploma. Ne ho diritto per il mio trascorso. Infine penso ed ho paura di una visione futura nella quale l’infermiere intercetta i bisogni degli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale ed altro ancora: sempre più competenze, ma lontane e diluite.
Come il prezzemolo, dappertutto e pagato sempre meno.
FNOPI dove sei?
Giovanni Trianni Infermiere Legale Forense Ufficio Stampa APSILEF