La domanda sembrerebbe banale, quasi superflua …ma nonostante tutto ancora oggi in molti (compresi alcuni infermieri) non ne conoscono in pieno la risposta o ne faticano ad individuarne una corretta interpretazione.
Ma cerchiamo di capire meglio.
” L’infermiere, in Italia, è il professionista sanitario laureato in Infermieristica.
Secondo i requisiti previsti dalla normativa italiana ed europea, è responsabile della pianificazione e gestione dell’assistenza infermieristica generale, ossia, l’attività terapeutica, palliativa, riabilitativa, educativa e preventiva rivolta all’individuo, alla comunità o alla popolazione, svolta su soggetti sani o malati, al fine di recuperare uno stato di salute adeguato e prevenendo l’insorgenza di alterazioni morfo-funzionali dell’individuo o della comunità”…fin qui tutti d’accordo….ma nel concreto che cosa è l’infermieristica.
Chiediamo supporto ancora alle definizioni che dovrebbero chiarirci le idee……
“La scienza infermieristica indica l’attività relativa all’assistenza terapeutica, palliativa, riabilitativa, educativa e preventiva rivolta all’individuo, alla comunità o alla popolazione, sia che essa sia svolta su soggetti sani o malati, al fine di recuperare, uno stato di salute ottimale e migliorare sempre più il proprio stato di salute o del prevenire l’insorgenza di alterazioni morfo-funzionali dell’individuo o della comunità.”..
Non so voi ma alcuni punti non sono del tutto chiari…o almeno non hanno un chiaro corrispettivo nella realtà che quotidianamente viviamo.
La prima cosa che colpisce è che nella stessa definizione di Infermiere vi é riferimento esplicito alla “responsabilità” della pianificazione ed attuazione di una serie di attività.
Quindi, implicito è sotteso il concetto di autonomia professionale (infatti la responsabilità trova il suo vulnus primario nell’autonomia- sono responsabile); sono responsabile di quello che io ho pianificato, attuato è dei risultati (esiti) raggiunti (sia positivi che negativi).
Tante volte ci siamo soffermati (in numerosi articoli APSILEF) di come è chiaro come la giurisprudenza vede la nostra professione (parte attiva e soggetta a valutazione di esito) e come noi in maniera distorta la intendiamo (passiva , deresponsabilizzata, corollaria all’attività medica, marginalmente implicata nelle controversie medico legali).
La nostra professione a pari delle altre è portatrice di diritti e di doveri (verso il singolo, la società, i propri componenti e delle Istituzioni) ed il ritenerci “figli di un Dio minore” non ci è di aiuto.
Il vero traguardo da raggiungere in un domani (mi auguro non troppo lontano) è l’autonomia, l’essere in via esclusiva detentori di una competenza (oserei dire esclusiva) di cui fregiarsi (vedi inf. Forense).
L’autonomia ….obiettivo tanto ambito..solo nel perseguirla saremo responsabili di quel processo assistenziali che ancora molti percepiscono come lontano ed irraggiungibile.
Francesco Paolucci