Siamo sicuri che i migliaia di infermieri che hanno conseguito un master universitario di 1 e 2 livello siano così contenti che i titoli conseguiti non vengano resi vincolanti per il riconoscimento di competente specifiche.
La formazione post-base può essere ancora intesa come un investimento o dobbiamo rassegnarci ad una visione “missionaria” della professione, dove “l’abnegazione” senza “pretese” è sinonimo di sudditanza ed affidabilità.
Pensare di vedere un “ritorno” (non solo d’immagine ma bensì contrattuale) per gli sforzi intrapresi in ambito formativo è davvero così deprecabile per l’infermiere o è sinonimo di una presa di coscienza del proprio ruolo all’interno della società.
Da anni stiamo diversificando gli ambiti di intervento assistenziale, ma l’impressione che aleggia (neanche troppo remota) è che si è sempre secondi a “qualcuno” o a “qualcosa” (prima ad altra “figura professionale” e poi al leggendario “bene del paziente”).
Pura retorica; non siamo in grado di essere “primi” poiché l’impianto formativo di base non è incentrato per quel fine e la formazione post-base ha un approccio “debole” per non dire “timido” alla titolarità di competenze specifiche.
Ritengo che in alcuni determinati settori le competenze specifiche debbano essere mandatorie e non facoltative, non possiamo più pensare di “scherzare” sulla professione poiché il rischio è quello che non si venga più creduti.
La domanda che dobbiamo porci è se possiamo ancora permetterci di scherzare o è arrivato il tempo di essere seri, credibili, autorevoli, autonomi ed infine severi verso coloro (interni ed esterni alla professione) che ci delegittimano prendendosi gioco di noi.
Come recita un detto “il gioco è bello quando dura poco”, e noi dobbiamo essere fermi nel farlo terminare quanto prima.
Francesco Paolucci, Ufficio Stampa APSILEF.