“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare“.
E’ in origine un sermone del pastore Martin Niemöller sull’inattività degli intellettuali tedeschi in seguito all’ascesa al potere dei nazistie delle purghe dei loro obiettivi scelti, gruppo dopo gruppo. La poesia è ben conosciuta e frequentemente citata, ed è un modello popolare per descrivere i pericoli dell’apatia politica, e come essa alle volte inizi con un odio teso ad impaurire obiettivi e di come alle volte vada fuori controllo.
Quanto citato vuole essere un monito alle nuove generazioni di riflessione e rivendicazione del proprio ruolo sociale ed autonomia professionale.
Il difendere una posizione o legittimamente esporre il proprio dissenso NON deve essere in nessun modo additato come sovversivo o soggetto ad intimidazioni più o meno celate.
Risulta a noi palese che una categoria di professionisti, nello specifico quella legale e forense alla luce dell’accordo FNOPI-CNF-CSM, essere stato penalizzato nell’esercizio di quella professione che cerca faticosamente di rendersi autonoma e specialista (si badi ,alla stregua delle altre professioni) senza favoritismi o peggio vittimismi.
I colti parlerebbero di “parto distocico” della professione, personalmente ritengo che l’essere considerati ancora “immaturi” professionalmente sia il vero “turpiloquio” che andrebbe ammonito e contrastato.
La modalità discriminatoria posta in essere di fatto dall’accordo FNOPI-CNF-CSM ricorda molto quel “prima di tutto vennero a prendere gli “…..infermieri specialisti legali e forensi; per poi estendere il medesimo trattamento ad altri (che al momento stanno zitti).
Ora il concetto chiave che critico aspramente è che si continua a non creare e di fatto riconoscere (in primis al nostro interno) le competenze specialistiche, (che badi bene non devono essere di sola natura tecnicistica).
L’acquisizione di specifiche competenze (di cui si deve essere titolari in via esclusiva) ormai è una necessità inderogabile; il voler tenere ancora la professione legata a sistemi “generalisti”, oltre che ad essere “indecorosa e lesiva della dignità” segnerà di fatto una regressione della nostra sfera di esercizio.
Le nuove generazioni professionali stanno chiedendo a gran voce di essere protagoniste del loro futuro, il tentativo di soffocare la critica dietro sistemi “anacronistici” del dissenso è umiliante oltre che ingiusto.
Ritengo che all’interno della professione vi siano le potenzialità per superare l’attuale sistema, e non ascoltare quelle voci (che utilizzano ormai tutti i canali comunicativi compresi i social) e tentare di reprimerle è il vero “atto osceno”.
Francesco Paolucci, Ufficio Stampa APSILEF.