«Essere, o non essere» è una frase dell’Amleto di William Shakespeare.
La battuta viene pronunciata dal principe Amleto all’inizio del soliloquio nella prima scena del terzo atto della tragedia. È una delle frasi più celebri della letteratura di tutti i tempi, e sembra calzare a pennello per descrivere la situazione paradossale in cui si trova l’infermiere specialista. L’interrogativo esistenziale del vivere (essere) o morire (non essere) è alla radice dell’indecisione che impedisce ad Amleto (nel nostro caso la FNOPI) di agire (il famoso «dubbio FNOPIco»).
Questa confusione ha dato origine alle varie rappresentazioni più o meno disperate di come riconoscere le competenze avanzate, che negli anni gli infermieri hanno faticosamente collezionato con la speranza che un giorno gli venissero riconosciute.
La domanda verrebbe spontanea, al di là del collezionamento dei titoli universitari (master & co.), l’infermiere riesce (essere) o non riesce (non essere) ad essere specialista in qualcosa. Il dubbio rimane e non sembra trovare risposta nemmeno da chi dovrebbe indicarci la “via”. Anzi è proprio da loro che la luce in fondo al tunnel tende ad affievolirsi.
Quale futuro dare alla professione se non riusciamo ad essere coerenti nemmeno al nostro interno, al di là delle ormai stereotipate e periodiche criticità messe ciclicamente sul tavolo della discussione da parte della Federazione, a cui sistematicamente ormai non vengono trovare soluzioni; anzi per le quali vengono prese decisioni in una notte (e per altro nemmeno condivise).
Ora, potremmo rimanere nel “dubbio” ma non saremmo onesti verso noi stessi, verso quello che siamo e vorremmo soprattutto essere, semplicemente una professione intellettuale come le altre, che abbia un percorso formativo chiaro e che contempli percorsi abilitanti a competenze specialistiche.
Francesco Paolucci , Ufficio Stampa APSILEF