La parola “eutanasia” deriva dal greco e significa “buona o dolce morte” (eu= buona e thanatos = morte). Si intende “l’uccisione di una persona umana gravemente invalidata dalla malattia da parte di un medico per mezzo di una azione o di una omissione che procuri la morte al fine di eliminargli ogni dolore”.
E’ possibile identificare da una parte una persona che richiede (o per cui è richiesta) di essere uccisa da un medico, non essendo in condizioni di farlo da sola, per porre fine alla sua sofferenza o ad una vita che ritiene indegna di essere vissuta e un soggetto predisposto o chiamato a farlo. Questo denota come l’atto eutanasico in realtà uccida due persone.
Come affermava G. Herranz “Dare la morte all’uomo malato, una passione mortale che avvelena il cervello e il cuore del medico, il quale soccombe a questa fatale tentazione”
Le radici culturali dell’eutanasia vanno ricercate nel:
- Rifiuto della morte;
- Lo scientismo razionalista;
- Tecnologia e spersonalizzazione dell’assistenza sanitaria;
- L’enfasi dell’autonomia del paziente;
- Il mutamento demografico e le cronicizzazioni delle malattie.
Le questioni di fine vita sono tante e complesse, lo stesso gesto può assumere significati a volte molto differenti, non dimentichiamo mai che “il morente è un vivente che si sta vivendo la fase finale della sua vita”. Il Cristianesimo, proclama che la vita è un dono di Dio, che la persona va sempre rispettata dal suo inizio alla sua fine. Eppure, la richiesta di anticipare la morte per evitare il dolore e la sofferenza è ormai dominante, al punto da rendere un “omicidio” un “diritto” che prelude un “dovere” in un altro individuo.
Dinanzi alla rivendicazione del “diritto di morire”, bisogna interrogarsi non solo sull’eutanasia, ma sul senso della morte, della sofferenza e sulla cura del morente. Il materialismo pratico, l’utilitarismo, l’individualismo; sono tutti elementi sintomatici del fatto che i valori dell’essere sono sostituiti da quelli dell’avere. A ciò va aggiunta la progressiva tecnicizzazione/disumanizzazione della medicina. L’eutanasia, infatti, non è una risposta all’umana sofferenza dal momento che la elimina eliminando il sofferente, alimentando e promuovendo una cultura della morte. Con l’enciclica Evangelium vitæ, Giovanni Paolo II, in conformità con il Magistero e in comunione con la Chiesa, conferma l’eutanasia quale grave violazione della legge di Dio, in quanto «uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana».
La fase terminale non deve modificare il nostro approccio, la persona non va scomposta “parcellizzata” dietro la sua “terminalità”, bisogna riappropriarsi delle ultime fasi della vita. Ci sono situazioni cliniche che potrebbero far pensare che l’eutanasia sia un’azione terapeutica, ma bisogna sottolineare con forma che l’eutanasia non è un’azione della medicina, non è un atto medico. Lo stesso individuo che chiede l’eutanasia non chiede di morire ma chiede un modo diverso di vivere.
Il Magistero della Chiesa Cattolica, si è sempre espresso condannando la cosiddetta “dolce morte”, ovvero l’eutanasia, considerando tale pratica equivalente all’omicidio o al suicidio.
La dottrina cattolica in merito all’eutanasia è riassunta nell’articolo del Catechismo della Chiesa Cattolica dedicata al quinto comandamento:
« L’eutanasia
2276 Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute perché possano condurre un’esistenza per quanto possibile normale.
2277 Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile.
Così un’azione oppure un’omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L’errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e da escludere.
2278 L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.
2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d’ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate. »
Nel 1965 durante il Concilio Ecumenico Vaticano II, la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo “Gaudium et Spes” contiene la prima o una delle prime citazioni esplicite dell’eutanasia in documenti dottrinali.
Lo stesso Giovanni Paolo II nel 1979, citando la “Gaudium et Spes”, tratta il tema dell’eutanasia rivolgendosi ai vescovi statunitensi: «[…] l’eutanasia o l’uccisione per pietà… è un grave male morale… Tale uccisione è incompatibile col rispetto per la dignità umana e la venerazione per la vita.»
Una definizione di eutanasia, citata anche da autori che non condividono le valutazioni etiche del magistero cattolico, si trova nella Dichiarazione sull’eutanasia Iura et bona, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 5 maggio 1980, al n. II: «Per eutanasia s’intende un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati». Da tale definizione emerge in maniera chiara che non vi è distinzione tra eutanasia attiva e passiva, volontaria e involontaria.
Una sintesi efficace della posizione della Chiesa cattolica si trova nell’enciclica “Evangelium Vitae”. Fatto salvo il caso particolare dell’accanimento terapeutico e la doverosa partecipazione per la sofferenza inaudita che spesso tali malati soffrono, le parole di Giovanni Paolo II esprimono in proposito una netta condanna: «confermo che l’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana» (Evangelium Vitae, n. 65[8])
Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell’esistenza di chi soffre, l’eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante “perversione” di essa: la vera “compassione“, infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza.
di Paolucci Francesco
aprile 2018