Pubblicato in Sentenze 25/01/2012
Lilla Laperuta
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 856 del 23 gennaio 2012, con la quale ha accolto il ricorso dell’Inail che si opponeva alla domanda di regresso presentata dall’azienda perché un suo dipendente si era infortunato arrampicandosi di propria iniziativa e non seguendo un ordine impartito dal caporeparto.
In particolare, i giudici di piazza Cavour hanno dato rilievo alla «prevedibilità» delle azioni che lavoratori, possono porre in essere, osservando che le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza e imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile ex art. 2087 c.c. dell’infortunio occorso al lavoratore sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente. Proseguono i giudici, non può attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore dall’eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l’esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando essa presenti i caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento. A tal fine si rende necessaria una rigorosa dimostrazione dell’indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro e, con essa, dell’estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere.