Anche un selfie può diventare un elemento per atti processuali. È quanto è accaduto a Perugia, dove la Procura ha deciso di inserire anche alcuni autoscatti agli atti della richiesta di rinvio a giudizio per omicidio colposo avanzata dalla procura del capoluogo umbro a carico di cinque medici in relazione alla morte di un architetto viterbese di 48 anni avvenuta a una decina di giorni dall’operazione per una emorragia.
I selfie ritraggono due dottoresse e il paziente in sala operatoria (per un intervento alle tonsille) all’ospedale di Perugia e la cena dell’uomo, dopo il ricovero, a casa di una di loro. Vicenda della quale scrive oggi il Corriere dell’Umbria. Il paziente venne sottoposto a intervento il 3 luglio 2015, dimesso dal policlinico di Perugia il giorno dopo fu nuovamente ricoverato l’11 luglio per un controllo e morì il 16 dello stesso mese.
Nel fascicolo del pm – si legge sul quotidiano – sono finite le indagini difensive dell’avvocato Luca Mecarini che assiste la famiglia dell’uomo. Tra gli atti alcune foto di una «chat tra amici» su Whatsapp con l’immagine in sala operatoria, la cena a casa di una delle dottoresse e della serata, quella prima dell’intervento, terminata in un pub (con il braccialetto ospedaliero al polso del paziente in evidenza). Al chirurgo presso la casa della quale si svolse la cena, il magistrato contesta che nonostante il paziente «fosse già ricoverato e nonostante le prescrizioni preoperatorie del digiuno organizzava la sua uscita del reparto, coinvolgendolo in una cena presso la propria abitazione, facendo sì che avesse l’occasione per alimentarsi in maniera non consona rispetto all’intervento al quale sarebbe stato sottoposto il giorno seguente». Coinvolto anche il primario della clinica di otorinolarigoiatria «che – secondo l’accusa – nulla faceva per impedire tale ‘goliardica’ e insana iniziativa» della dottoressa. Nel fascicolo vengono poi formulate contestazioni a vario titolo legate a quelle che il pm considera omissioni nella valutazione della pressione dell’uomo.