Quando registrare una conversazione di nascosto non è reato? E quando la registrazione di nascosto è una prova documentale pienamente ammessa?
Autorevoli esperti forniscono tutte le spiegazioni.
E’ noto che fino a qualche tempo fa i nostri giudici non gradivano le registrazioni effettuate di nascosto. Ma adesso qualcosa sta cambiando, e registrare una conversazione di nascosto non solo non è reato, ma la registrazione può essere, nel processo penale, un prova documentale pienamente ammissibile.
Con la comparsa della disciplina sulla tutela della privacy, in una prima fase iniziale in cui più o meno tutto era considerato violazione di essa, si sta da un po’ di tempo assistendo ad un progressivo aggiustamento del tiro, che va di pari passo con la necessità della tutela della certezza della parola data.
Qualche anno fa, infatti, registrare una conversazione di nascosto, ossia effettuata senza il consenso dell’interlocutore, non era ammesso e la registrazione non era producibile in giudizio; se poi nella conversazione emergevano dei dati sensibili della persona registrata, colui che l’aveva effettuata poteva essere passibile di denuncia penale.
Adesso, invece, assistiamo ad un cambiamento anche nella giurisprudenza, per cui registrare una conversazione di nascosto può talvolta essere lecito. Una delle ultime sentenze della Cassazione del 2015 spiega qual è la differenza fra la registrazione lecita e la registrazione non lecita.
La registrazione, infatti, costituisce prova documentale secondo la disciplina dell’art. 234 c.p.p., che qualifica “documento” tutto ciò che rappresenta “fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”.
La registrazione, infatti, costituisce una forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente e, in conformità con l’art. 234 c.p.p., anche ai fini di prova nel processo, salvo eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipi.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 18908/2011, dispone infatti che: “integra il reato di trattamento illecito di dati personali il diffondere, per scopi diversi dalla tutela di un diritto proprio o altrui, una conversazione documentata mediante registrazione”.
Il dr. Carmelo Galipò, Presidente dell’Accademia della Medicina Legale e direttore editoriale di Responsabile Civile, intervista l’avv. Gianluca Mari per far luce su quando registrare una conversazione di nascosto non è reato e in che caso può quindi essere prodotta come prova documentale pienamente ammessa in giudizio.