Cassazione 5-8-2014, n. 17625
Lavoratore che svolge un’altra attività lavorativa durante l’assenza per malattia.
Si tratta di un caso particolarmente frequente nella pratica, su cui la giurisprudenza si è diretta in più occasioni nel senso di ritenere non sussistente un obbligo assoluto in capo al lavoratore di non svolgere altra attività lavorativa, durante il periodo in cui si trova in malattia.
Un tale comportamento può tuttavia costituire violazione degli obblighi di correttezza e buona fede qualora l’attività lavorativa svolta sia tale da far presumere l’inesistenza di uno stato morboso o sia tale da «pregiudicare o comunque ritardare» la guarigione del lavoratore e dunque il suo rientro in servizio: tale ultimo aspetto assume rilevanza ai fini della giusta causa di licenziamento (e dunque della responsabilità della violazione degli obblighi suddetti) quando il lavoratore assente per malattia non adotta «ogni cautela possibile per non mettere a rischio o ritardare la propria guarigione, con il conseguente recupero dell’idoneità al lavoro».
Troppo sport fa male
Lavoratore che svolge un’attività sportiva in pregiudizio del propriostato di salute
Lo svolgimento di una pratica sportiva incompatibile con le condizioni fisiche del lavoratore, in tal modo creando le condizioni per il rischio di aggravamento delle condizioni stesse, determina la legittimità del licenziamento. È stato, in proposito, sottolineato che «è acquisito alla giurisprudenza di questa Corte il principio, in questa sede ribadito, secondo il quale l’obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall’art. 2105 c.c., dovendo integrarsi con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro (cfr. Cass. 18-6-2009, n. 14176) e che, in tema di licenziamento per violazione dell’obbligo di fedeltà, il lavoratore deve astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 c.c., ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno» (Cass. 9-1-2015, n. 144).
Sulla base di tali principi, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, l’attività sportiva svolta dal lavoratore continuativamente e fisicamente provante, era idonea a ridurre sensibilmente la sua capacità lavorativa.
A ciò aggiungasi che il datore di lavoro aveva assegnato il lavoratore a mansioni ridotte e diverse da quelle precedentemente svolte, sopportando un inevitabile danno dal punto di vista dell’efficienza produttiva ed organizzativa.
in altri termini, la giurisprudenza ha richiamato i medesimi principi applicabili alla diversa fattispecie del lavoratore assente per malattia.