Dott.ssa Eleonora Donadio, Infermiera Legale Forense,
Consiglio direttivo APSILEF,
Coord. Ufficio stampa e Comunicazione APSILEF,
Resp. Gruppo regionale Emilia Romagna APSILEF
Tentare di formulare una definizione che realmente possa servire a chiarire cosa si intende quando si parla di mobbing non è del tutto semplice. L’ ostracismo (dalla parola greca ostrakon o coccio), praticato degli antichi greci è un esempio storico codificato di “mobbing”: sebbene nato sulla base di buone intenzioni (Clistene) ben presto divenne una arma politica che poteva servire ad allontanare dalla città un avversario indesiderato: l’Ecclesia (riunione di circa seimila cittadini) poteva ogni anno condannare a dieci anni di esilio quel cittadino ritenuto pericoloso scrivendo il nome dell’esiliando su di un coccio.
Dal punto di vista etimologico, da un verso sembrerebbe che mobbing derivi dal termine latino “mobile vulgus”, “folla tumultuante” dall’altro sembrerebbe derivare dal verbo inglese: “to mob”.
Invero nel Regno Unito non si è collocato con il significato che gli è stato poi attribuito in quasi tutti i paesi europei e non. Qui la parola mobbing è quasi sempre legata al termine rioting. Con questi termini si faceva riferimento ad organizzazioni i cui componenti erano plebei aventi scopi terroristici e sovversivi, come danni alle persone o ai beni di proprietà dei feudatari, o atti di terrore e di violenza nel quartiere dove la folla si riuniva: la specifica definizione era: «The general term mobbing and rioting includes all those convocations of the lieges for violent and unlawful purposes, which are attended with injury to the persons or property of the lieges, or terror and alarm to the neighborhood in which it takes place»
https://www.scotlawcom.gov.uk/files/4613/1419/9819/cm60.pdf
Difatti se si inserisce la parola mobbing nel “National Record Scotland” https://catalogue.nrscotland.gov.uk/nrsonlinecatalogue/overview.aspx?st=1&tc=y&tl=n&tn=n&tp=n&k=mobbing&ko=o&r=&ro=s&df=&dt=&di=y
vengono restituiti piu di 500 records in cui la parola mobbing è seguita dalla parola rioting.
Anche se i due termini vengono usati solitamene insieme, essi hanno significati differenti, e sono, in taluni casi, utilizzati indipendentemente nel linguaggio giuridico:
- il termine mobbing fa riferimento ad un’organizzazione clandestina ed a atti di violenza post in essere da un determinato numero di soggetti;
- il termine rioting fa riferimento alla condotta rivoltosa e scandalosa di una singola persona.
Per combattere tale fenomeno in Gran Bretagna, vi era il Riot Act, del 1714, che stabiliva che le autorità pubbliche potessero agire per dissolvere il gruppo e condannare i membri ad una sanzione punitiva di fronte ad una organizzazione di soggetti clandestinamente riuniti con finalità violente.
Il Riot Act è stato sostituito dal Criminal Law Act del 1967. Riot, trova largo utilizzo in Scozia in ragione del crimine di mobbing and rioting, la cui definizione è: «a mob is essentially a combination of persons, sharing a common criminal purpose, which proceeds to carry out that purpose by violence, or by intimidatione by sheer force of numbers. A mob has, therefore, a will and purpose of its own, and all members of the mob contribute by their presence to the achievement of the mob’s purpose, and to the terror of its victims, even where only a few directly engage in the commission of the specific unlaful acts which it is the mob’s common purpose to commit».
https://ojp.gov/ncjrs/virtual-library/abstracts/mobbing-and-rioting; https://www.ojp.gov/pdffiles1/Digitization/95045NCJRS.pdf
In sostanza si concretizzava quando un insieme di individui dà vita ad uno stato di allarme sulla folla allo scopo di attuare attività illegali oppure far valere uno scopo legittimo ma con mezzi illegali, quali, ad esempio, violenza o intimidazione.
In tempi più recenti il termine mobbing è stato diversamente arruolato.
Agli inizi degli anni 70 compare il termine mobbing (ripreso dal verbo inglese “to mob” attaccare, accerchiare, accalcarsi) ad opera dell’etologo svedese Konrad Lorenz che lo utilizzò per descrivere la “coalizione di alcuni animali contro un membro del gruppo che veniva attaccato, isolato, escluso, maltrattato e portato, anche, fino alla morte”.
Nel 1984, con la prima pubblicazione scientifica sull’argomento, lo psicologo svedese Heinz Leymann, introduce formalmente l’uso del termine mobbing per indicare “la particolare forma di vessazione esercitata nel contesto lavorativo, il cui fine consiste nell’estromissione reale o virtuale della vittima dal mondo del lavoro”.
In questa occasione Leymann, infatti, utilizza il termine mobbing per indicare quella forma di “comunicazione ostile ed immorale diretta in maniera sistematica da uno o più individui (mobber o gruppo mobber) verso un altro individuo (mobbed o mobbizzato) che si viene a trovare in una posizione indifesa”. Le primissime ricerche di Leymann sul tema si fondarono su diversi episodi di suicidi o tentati suicidi causati da fattori correlati all’ambiente lavorativo i cui soggetti interessati erano delle infermiere.
Nello specifico Leymann considerato come il «padre del mobbing», unitamente ad altri psicologi svedesi, durante gli anni 1982 e1983, ha compiuto un’approfondita ricerca su tale materia i cui frutti furono resi noti, nel1984, dal Ministero Nazionale per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro svedese.
Leymann ha qualificato il mobbing come: «una forma di terrorismo psicologico nell’ambito dell’ambiente lavorativo che implica un atteggiamento ostile e non etico realizzato in maniera sistematica da uno o più individui, nei confronti di un soggetto specifico il quale, a causa del mobbing, è spinto in una posizione indifesa e disperata e fatto oggetto di una serie continua di azioni vessatorie. Queste azioni si manifestano in modo notevolmente frequente (statisticamente almeno una volta a settimana) e nel corso di un lungo periodo di tempo (statisticamente per almeno sei mesi di durata). A causa dell’elevata frequenza e della lunga durata del comportamento ostile, questa forma di maltrattamento determina un disagio mentale, psicosomatico e sociale» http://www.leymann.se/English
Negli anni ’90 lo psicologo del lavoro Harald Ege[2] inizia a parlare di mobbing in Italia. Egli delinea il fenomeno come “«una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori».
Esso «si manifesta come un’azione (o una serie di azioni) che si ripete per un lungo periodo di tempo, compiuta da uno o più mobber per danneggiare qualcuno (chiamato mobbizzato), quasi sempre in modo sistematico e con uno scopo preciso. Il mobbizzato viene letteralmente accerchiato e aggredito intenzionalmente dai mobber che mettono in atto strategie comportamentali volte alla sua distruzione psicologica, sociale e professionale”.
Il professor H. Edge non solo, si è preoccupato di dare una catalogazione al fenomeno del mobbing ma anche di precisare cosa il mobbing di certo non sia. Egli ha specificato:
che il mobbing non può concretizzarsi in una sola azione o omissione o in un conflitto esteso;
che il mobbing non è un disturbo bensì una mera situazione;
che non può trattarsi di una problematica di stampo familiare;
che non trattasi di una molestia sessuale;
che non coincide con il fenomeno del bullismo;
che non può essere definito quale hobby o un business
Nel 2003, il dott. Stale Einarsen, accademico norvegese, ne ha proposto una definizione: mobbing sul posto di lavoro descrive una situazione in cui “una persona o un gruppo di persone, esercitano sistematicamente (almeno una volta alla settimana), per lungo periodo di tempo (più di 6 mesi), estrema violenza psicologica su di un’altra persona, sul luogo di lavoro”.
Qualunque definizione si voglia adottare “il mobbing” rappresenta una situazione in cui un individuo è sottoposto a persistenti e duraturi comportamenti minacciosi, oppressivi, offensivi, ingiuriosi, dolosi o oltraggiosi da parte di un altro.
Elementi essenziali del mobbing sono rappresentati dalla sistematicità e dalla durata d’azione nel tempo degli atti di molestia morale e violenza psicologica sul luogo di lavoro, che possono essere i più vari.
L’origine o le cause del “mobbing” possono essere molteplici. Gli scenari hanno ragioni di vario genere, che vanno da forti divergenze a controversie di qualsiasi natura tra molestatori e molestati, fino al fatto che questo tipo di comportamento costituisce una “distrazione” per il mobber. Fondamentalmente, il substrato che favorisce l’emergere di questo tipo di comportamento è legato a due aspetti: l’organizzazione del lavoro e la gestione dei conflitti da parte dei superiori.
Quanto al primo punto, gli studi empirici hanno dimostrato una correlazione importante tra caratteristiche della organizzazione e l’emergere del mobbing.
Dal punto di vista della gestione dei conflitti da parte dei superiori, ci sono due posizioni che possono aumentare la portata del conflitto: da un lato, la negazione di esso e dall’altro il coinvolgimento e la partecipazione attiva al conflitto (al fine di contribuire alla stigmatizzazione della persona oggetto di vessazioni).
Anche se alcune caratteristiche personali possono aumentare la possibilità di subire o vivere questo tipo di “violenza”, in realtà, è possibile per chiunque trovarsi in questa situazione.
Sulla scorta delle conquiste scientifiche anche il ramo giuridico ha finalmente preso coscienza dell’effettiva presenza del problema arrivando a prevedere un diritto al risarcimento attribuibile.
Appare dunque necessario ricordare alcune delle proposte di legge avanzate in Parlamento finalizzate al contrasto di questo fenomeno.
In primo luogo, va richiamata la prima forma di proposta legislativa che ha, in certo qual modo, fatto da apripista: trattasi della proposta di legge n. 1813 del 9 luglio 1996[3], cui seguirono le proposte legislative n. 6667[4], n. 7235[5], n. 4265[6], n. 4313[7], n. 4512[8], n. 6410[9], n. 4802[10], n. 924[11], n. 122[12], n. 422[13], n. 1785[14], n. 1290[15]
Piu recentemente si sono susseguite le proposte n. 2311[16], n. 1339[17], n. 1350[18]
Meritano altresì menzione:
La legge regionale Lazio n. 16 dell’11 luglio 2002 denominata «Disposizioni per prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro».
La Legge regionale Abruzzo 11 agosto 2004, n. 26, «Interventi della Regione Abruzzo per contrastare e prevenire il fenomeno mobbing e lo stress psico-fisico sui luoghi di lavoro»
La Legge regionale Friuli-Venezia Giulia 8 aprile 2005, «Interventi regionali per l’informazione, la prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fisiche nell’ambiente di lavoro».
La Legge regionale Veneto, 22 gennaio 2010, n. 8, «Prevenzione e contrasto dei fenomeni di mobbing e tutela della salute psico-sociale della persona sul luogo del lavoro».
La Legge regionale Umbria, 28 febbraio 2006, n. 18, «Tutela della salute psicofisica della persona sul luogo di lavoro e prevenzione e contrasto dei fenomeni di mobbing»,
Nonostante, nell’ordinamento giuridico italiano non esista un’apposita fattispecie legislativa del mobbing, ciò non ha impedito o limitato la giurisprudenza ad emettere pronunce su tale fenomeno.
Tra i molteplici provvedimenti decisionali che, ormai, ammettono pacificamente l’esistenza del mobbing e che riconoscono il diritto alla risarcibilità dei danni da esso scaturenti merita menzione l’allegata sentenza della Corte dei conti della regione Emilia-Romagna dall’ ineccepibile legal framework a firma del presidente Tammaro.
[2]Psicologo del lavoro e specializzato nelle relazioni industriali e del lavoro, di origini tedesche trasferitosi in Italia dove coopera con diverse Università, tra le quali quella di Bologna.
Tra le principali opere: Mobbing, Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, Bologna, Pitagora, 1996;
Il mobbing in Italia, Introduzione al mobbing culturale, Bologna, Pitagora, 1997;
Stress e mobbing (con M. Lancioni), Bologna, Pitagora, 1998;
I numeri del mobbing. La prima ricerca italiana, Bologna, Pitagora, 1998;
Mobbing: conoscerlo per vincerlo, Milano, Franco Angeli s.r.l. editore, 2001;
La valutazione peritale del danno da mobbing, Milano, Giuffrè editore, 2002;
Oltre il mobbing. Straining, stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, Milano, Franco Angeli s.r.l. editore, 2005;
Al centro della persecuzione. Analisi, conseguenze e valutazioni del comportamento persecutorio, Milano, Franco Angeli s.r.l. editore, 2010;
Ha anche elaborato la prima forma di metodo di valutazione del mobbing utilizzato da diversi tribunali: EGE H. La valutazione peritale del danno da mobbing, Milano, Giuffrè, 2002.
[3] presentata il 9 luglio 1996, su iniziativa dei deputati Cicu ed Altri «Norme per la repressione del terrorismo psicologico nei luoghi di lavoro» sotto forma di un unico articolo che catalogava il mobbing come fattispecie penalistica prevedendo la reclusione da uno a tre anni ai danni del mobber,
[4] presentata il 5 gennaio 2000, su iniziativa del deputato Fiori «Disposizioni per la tutela della persona da violenze morali e persecuzioni psicologiche».
[5] presentata il 26 luglio 2000, su iniziativa dei deputati Volontà ed Altri «Disposizioni per la tutela dei lavoratori nell’ambito dei rapporti di lavoro».
[6] presentato il 13 ottobre 1999, su iniziativa dei senatori Tapparo ed Altri «Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell’ambito dell’attività lavorativa»;
[7] presentato il 2 novembre 1999, su iniziativa del senatore DeLuca «Disposizioni a tutela dei lavoratori e delle lavoratrici dalla violenza psicologica»;
[8] presentato il 2 marzo 2000, ad opera dei senatori Tomassini ed Altri «Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza o dalla persecuzione psicologica»;
[9] presentato il 30 settembre 1999, su iniziativa dei senatori Benvenuto ed Altri «Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica»;
[10] presentata il 25 settembre 2000, su iniziativa del senatore Magnalbò «Norme per contrastare il fenomeno del mobbing».
[11] presentata il 5 dicembre 2001 che rievoca il vecchio n. 4265 del senatore Tapparo;
[12] presentata il 6 giugno 2001 dal senatore Tomassini che ricalca la propria precedente n. 4512
[13] Presentata il 9 luglio 2001 dal senatore Magnalbò che ripresenta il proprio precedente n. 4802
[14] presentata il 26 febbraio 2015 su iniziativa del senatore TAVERNA et altri Introduzione nel codice penale del reato di atti vessatori in ambito lavorativo
[15]presentata dal senatore Eufemi denominato «Norme generali contro la violenza psicologica»
[16] presentata il 4 aprile 2019su iniziativa dei deputati De Lorenzo et altri, «Disposizioni per la prevenzione e il contrasto delle molestie morali e delle violenze psicologiche in ambito lavorativo», composta da nove articoli e inquadrante il fenomeno del mobbing come un reato e dunque inserita nel codice di rito, precisamente dopo l’art. 612 bis c.p. (stalking)
[17] presentato in data 12 giugno 2019 da sentori Conzatti et altri, composta da 4 articoli di stampo prettamente civilistico, atta a distinguere il mobbing dallo straining prevedendo una rispettiva tutela normativa;
[18] presentata 20 giugno 2019, d’iniziativa dei senatori Castiello e altri dal titolo «Disposizioni per il contrasto al fenomeno del mobbing», composta da otto articoli.