I professionisti abilitati, è noto, devono essere iscritti ai relativi albi professionali. Dopo molti anni il legislatore ha chiarito che deve essere obbligatoriamente iscritto all’albo anche l’infermiere dipendente (legge 43/2006). L’infermiere dipendente pubblico, però, a differenza dei medici e dei dipendenti privati ha l’obbligo di “esclusiva” e non può esercitare la professione in altri contesti libero professionali. Unica eccezione è il regime di lavoro a tempo parziale al cinquanta per cento e per attività non in concorrenza con il datore di lavoro e per eventuali incarichi autorizzati. Con l’entrata in vigore della legge anti corruzione, inoltre, il datore di lavoro, al fine del conferimento degli incarichi, deve verificare la carenza di situazioni, “anche potenziali” di conflitto di interesse.
Per il resto l’ordinamento giuridico richiede l’assoluta fedeltà al datore di lavoro pubblico. Le sanzioni sono gravi: licenziamento e recupero delle somme “abusivamente” guadagnate da parte dell’amministrazione. In altre parole, il totale delle somme guadagnate dal pubblico dipendente dalla seconda attività lavorativa, devono essere versate all’azienda sanitaria e ospedaliera di riferimento, addirittura al lordo delle tasse pagate. Norme la cui costituzionalità, è tutta da verificare (Siamo però abituati a un legislatore che non rispetta la Costituzione).
Una recente sentenza della Corte di cassazione (sezione lavoro 7776/2015), in riferimento a un avvocato, dipendente di una pubblica amministrazione ha stabilito un importante principio di diritto. Il pagamento della tassa di iscrizione all’albo professionale, essendo un costo per lo svolgimento dell’attività “deve gravare” sul datore di lavoro pubblico. Il professionista, infatti, si iscrive all’albo per un’attività il cui unico beneficiario è l’ente pubblico e non il professionista stesso. Un costo quindi che non deve gravare sul lavoratore. Sempre la Cassazione specifica che “se tale costo viene anticipato dal dipendente” questi deve essere rimborsato dall’ente stesso.
Precedentemente il Consiglio di Stato in un parere del 2010 aveva affermato che quando sussiste il vincolo di esclusività, l’iscrizione all’Albo è funzionale allo svolgimento di un’attività professionale svolta nell’ambito di una prestazione di lavoro dipendente, e la relativa tassa deve gravare sull’Ente che beneficia in via esclusiva dei risultati di detta attività.
In relazione a questo abbiamo da tempo iniziato una riflessione su come muoversi per non fare gravare, contrariamente a quanto ha affermato il Consiglio di Stato, la tassa dell’iscrizione all’albo sulle tasche degli infermieri dipendenti.
Abbiamo quindi convenuto in giudizio, presso il Tribunale di Alessandria, l’azienda sanitaria per il rimborso della tassa Ipasvi. Il Tribunale ha respinto la nostra richiesta sulla base di una sentenza che ci è apparsa più politica che giuridica: il contenimento della spesa pubblica (considerazione che non è richiesta neanche alla Corte costituzionale). Abbiamo appena presentato il ricorso presso la Corte di appello di Torino dove, fiduciosi, attendiamo gli esiti giudiziari.
La nostra è una battaglia di equità e di giustizia. E’ infatti del tutto paradossale che il costo di una tassa che serve per esercitare la professione da dipendenti e il cui beneficio ricade tutto sulle strutture del Servizio sanitario nazionale, senza alcuna possibilità di sfruttare l’iscrizione all’albo in contesti libero professionali, debba ricadere sugli infermieri.
A questo punto non ci sono che due strade:
1) le aziende del servizio sanitario nazionale devono pagare la tassa di iscrizione agli infermieri dipendenti;
2) oppure si proceda a una modifica normativa che permetta la libera professione agli infermieri alle stesse condizioni previste per la professione medica nelle modalità intra ed extra muraria e con il riconoscimento, per chi opta per la prima opzione, di un indennità di esclusività similare a quella prevista dal contratto della dirigenza medica.
Confidiamo, una volta tanto, nell’intervento del legislatore che anticipi e non subisca l’azione di supplenza della magistratura per risolvere il problema del pagamento della tassa Ipasvi nel senso da noi indicato.
Dr. Andrea Bottega
Da Il Sole 24 Ore Sanità